Tesoro e Cdp varano il Fondo anti-Opa

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MILANO – Giulio Tremonti spariglia le carte nella partita Parmalat e mette in campo una sorta di Iri-bis – imperniata sulla Cassa depositi e prestiti – per proteggere da scalate straniere (ma non solo) le imprese strategiche tricolori. Il consiglio dei ministri ha autorizzato il ministro dell’economia a «predisporre strumenti di finanziamento e capitalizzazione, analoghi a quelli in essere in altri paesi europei, mirati ad assumere partecipazioni in società  di interesse nazionale rilevante in termini di strategicità  del settore e di livelli occupazionali». Parmalat, precisa la nota per sgombrare il campo da ogni dubbio, «è inclusa nella casistica». Già  in serata è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale un decreto che ampia i poteri della Cassa fornendole la possibilità  di assumere partecipazioni direttamente ma anche «attraverso società , fondi d’investimento partecipate dalla Cdp o da società  private». Tradotto in soldoni, significa che lo Stato, da subito, potrà  istituire un fondo o un altro strumento ad hoc dotato di soldi pubblici o quasi (nel caso della Cdp si tratterebbe dei 206 miliardi di risparmi postali degli italiani) Lactalis. Un’arma di difesa che, in futuro, potrebbe intervenire in operazioni delicate e strategiche come la ricapitalizzazione delle banche tricolori. Lo shopping giuridico di via XX settembre potrebbe però clonare una versione romana del Fonds Stratégique d’investissement transalpino. Una sorta di Iri francese, partecipata al 51% dalla Caisse des Dépots e al 49% dall’agenzia di partecipazione dello Stato che ha investito 16,2 miliardi in partecipazioni d’aziende strategiche per Parigi tra cui Accor (alberghi), France Telecom ed Eutelsat. Resta da capire se nel caso di Parmalat ci sono i tempi tecnici per costituire una struttura di questo genere. Anche perché secondo alcuni legali la Cassa depositi e prestiti – già  socia di Eni al 26% – potrebbe aver bisogno anche di un ritocco allo statuto. La Cdp è controllata al 70% dallo stato e al 30% da 66 fondazioni bancarie e impegna il risparmio postale (con garanzia pubblica) in prestiti agli enti locali, infrastrutture e sostegno alle imprese. Se la tempistica fosse un problema, il Tesoro potrebbe giocare a Collecchio la carta Fintecna. Su Lactalis intanto si è mossa anche la Guardia di Finanza, sotto la cui lente è finito l’acquisto della Galbani. Nel 2006 i francesi hanno rilevato la società  dal fondo di private equity Bc Partners che a sua volta l’aveva comprata nel 2002 soffiandola proprio alla Parmalat di Tanzi. Il mese scorso le Fiamme gialle di Milano hanno notificato un verbale alla Lactalis in cui contestano un’elusione fiscale su utili per 300 milioni di euro e che ora tra sanzioni e interessi potrebbe costare ai francesi almeno 150 milioni. Bc aveva comprato il gruppo italiano attraverso un’operazione a debito e per ripagarla aveva pensato bene di fondere i veicoli creati ad hoc e indebitati per l’acquisto con la stessa Galbani spa, in modo da compensare gli utili della Galbani con gli interessi passivi che i veicoli pagano ai finanziatori (guarda caso due veicoli lussemburghesi creati dalla stessa Bc). Lactalis con l’acquisto della Galbani non ha cambiato la struttura societaria impostata da Bc, ma l’ha conservata reiterando i possibili profili di elusione fiscale. Da qui il verbale delle Fiamme gialle.


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