Gli aumenti in bolletta? Per i sussidi alle rinnovabili

Loading

La decisione l’ha presa l’Autorità  per l’Energia, ma è un atto dovuto per un quarto ai mercati e per tre quarti alle scelte del governo. E’bene ricordare che esistono due modi di finanziare la spesa pubblica e diminuire, quindi, il reddito disponibile delle famiglie e delle imprese: uno, trasparente seppur sgradevole, è l’imposizione fiscale diretta e indiretta; l’altro, meno chiaro e perciò più tollerato, consiste nell’aumentare i prezzi regolati di beni irrinunciabili come l’energia destinando i proventi a finalità  e beneficiari stabiliti per legge. La misura di furbizia implicita in questa seconda modalità  sarebbe comunque il meno se gli effetti dell’opaco prelievo dalle tasche degli italiani avessero un’utilità  generale. Non sembra questo il caso. L’Autorità  ha avuto il merito di spiegare com’è diviso l’aumento. La qual cosa apre tre questioni. Prima questione, lo stanziamento per i certificati verdi è raddoppiato. L’Autorità  l’aveva in precedenza fissato in 700 milioni l’anno avvertendo che l’onere avrebbe potuto raddoppiare ove il legislatore avesse dato un’interpretazione della «manovra Tremonti» meno favorevole ai consumatori. Con il decreto attuativo della direttiva Ue sulle rinnovabili, il governo ha cassato la norma stessa azzerando lo sforzo del ministro dell’Economia e costringendo l’Autorità  a prenderne atto. Seconda questione, i 2,4 miliardi sussidiano gli impianti fotovoltaici che l’Autorità  stima prudenzialmente in funzione a fine 2011 per una potenza di 6700 megawatt e non tutti a tariffa massima. Gli incentivi dureranno 20 anni. A moneta corrente, comporteranno un onere complessivo di almeno 48 miliardi. Ma il peggio deve ancora venire. E’in pieno svolgimento, infatti, una partita complicata ma soprattutto confusa dentro il governo, tra l’anima «ambientalista» e quella «industrialista» , e tra il governo e le lobby del fotovoltaico. Al momento sembra emergere un compromesso nel fissare, mediatrice Confindustria, un tetto di 6 miliardi agli incentivi annuali per il fotovoltaico da raggiungere nel 2016-2017. L’associazione imprenditoriale presieduta da Emma Marcegaglia immagina questi incentivi ad andamento decrescente (ma sempre meno dei tedeschi) e dunque in grado di far installare una capacità  produttiva sussidiata di 20 mila megawatt, due volte e mezza l’obiettivo che il governo italiano si era dato per rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 al 2020, quasi si cercasse a tutti i costi il modo più oneroso rispettare il protocollo di Kyoto. Assosolare, incontentabile, vorrebbe alzare il tetto addirittura a 7 miliardi. Ma già  6 miliardi per 20 anni fanno 120 miliardi. Sei miliardi equivalgono al valore di una Parmalat e mezza. Sono meno degli aiuti pubblici dati alla Fiat dal 1990 ai giorni nostri. Terza questione, gli effetti sull’economia. Se passasse la linea confindustriale, avremmo a regime energia solare per circa 24 terawattora l’anno, l’8%dell’attuale produzione nazionale il cui prezzo industriale è pari a 20 miliardi di euro. Questo dorato 8%costerebbe quanto il 30%del totale e garantirebbe, ai livelli attuali, ritorni tra il 60 e l’80%sul capitale di rischio investito. Secondo le stime del Politecnico di Milano, il fotovoltaico darebbe lavoro nel 2013 a 50 mila addetti, tra diretti e indiretti. Le associazioni di settore si spingono fino a 150 mila addetti. Il governo dovrebbe calcolare quanti posti di lavoro si creerebbero a incentivi pieni, e per quanto tempo, e paragonarli a quanti ne verrebbero assegnando diversamente queste risorse dei cittadini o lasciandole nelle loro tasche per altri consumi e investimenti. E quale ricaduta avrebbe destinare anche solo una frazione di quest’enormità  alla ricerca sulle rinnovabili che sarebbe la vera base di una filiera industriale sofisticata e non troppo tributaria dell’estero.


Related Articles

Marchionne, un piano a parole. Mancano i fatti

Loading

Lingotto. Nell’intervista a «Repubblica», l’amministratore delegato promette il rientro di tutti i lavoratori dalla cassa integrazione. «Per l’Italia non ci sono certezze»: la Fiom chiede al governo di convocare i vertici dell’azienda

Marchionne, il manager di un’era che non esiste più

Loading

Sergio Marchionne è stato l’«uomo della transizione». Ha portato la Fiat fuori dall’Italia. E l’Italia fuori dall’era industriale. Ma la sua eredità è piena di macerie

Le disuguaglianze insostenibili

Loading

Mentre le ultime rilevazioni dell’Istat indicano un vero e proprio crollo dei consumi delle famiglie, uno studio commissionato dall’Unione Europea, Gini-Growing inequality impact, ha messo in evidenza che l’Italia è tra i paesi europei che registrano le maggiori diseguaglianze nella distribuzione dei redditi, seconda solo al Regno Unito, e con livelli di disparità superiori alla media dei paesi Ocse.

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment