“L’ondata non si fermerà , ci sono troppi problemi aperti”
Le rivolte nel mondo arabo Marina Ottaway le sta seguendo da vicino: direttrice del Middle East Program del Carnergie Endowment for international peace, uno dei più prestigiosi think tank americani, ha seguito di persona l’onda delle proteste dall’Arabia Saudita al Bahrein. È dal piccolo regno nel Golfo che oggi guarda con preoccupazione alla Siria e al resto della regione. Perché le proteste sono ripartite? E perché così violente? «Due motivi diversi. Il primo è che i problemi esistono in tutti i Paesi della zona e la gente ne ha davvero abbastanza. Il secondo è che i governi si sono fatti più furbi: hanno capito che devono prendere questi moti sul serio e dall’inizio. Non sottovalutarli come è accaduto all’inizio in Egitto e soprattutto Tunisia: ora usano subito la forza». Quindi non c’è un “effetto Libia”. «No, nella maggior parte dei casi la spinta viene da questioni interne, spesso imprevedibili. Prendiamo la Siria: è tutto da capire perché le proteste siano partite dal Sud e da una cittadina come Deraa». Il dilemma dell’Occidente: interveniamo in Libia per proteggere i civili. Allora perché non in Yemen, Bahrein o Siria? «L’Occidente ha di fronte dilemmi morali complicatissimi: perché la Libia sì e gli altri Paesi no, certo. Ma anche perché i ragazzi occidentali devono andare a morire in situazioni in cui non c’entrano nulla: perché, non nascondiamoci, queste sono situazioni di guerra. Per gli Stati Uniti questo è un imbarazzo enorme, che diventerà sempre più evidente».
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