Scuola, prof in rivolta contro i tagli feroci del governo Cameron

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E dopo le grandi proteste degli studenti dello scorso autunno, con pesanti scontri con le forze di polizia, ieri anche i docenti hanno fatto sentire la propria voce. Oltre 500 campus in tutta la Gran Bretagna sono stati paralizzati dallo sciopero nazionale organizzato dal sindacato Ucu (University and College Union) a pochi giorni dalla grande protesta di sabato, convocata dalla confederazione dei sindacati britannici Tuc (Trade Union Congress). La protesta a cui hanno partecipato decine di migliaia di docenti, è stata scatenata dal taglio netto del 4% che gli insegnanti si sono visti recapitare con l’ultimo contratto, e da un piano di riforma del fondo pensionistico che colpirebbe in modo particolare i lecturers più giovani. Ma a preoccupare i docenti universitari è più in generale il senso di insicurezza che imperversa nei campus britannici con il timore di licenziamenti a raffica in arrivo nei prossimi mesi, come conseguenza dei pesantissimi tagli varati dal governo sui sussidi per la didattica universitaria (nel caso delle materie umanistiche si parla di un taglio del 100%). «Gli insegnanti universitari non ne possono più di un piano con il quale il governo vuole fargli pagare le conseguenze di una crisi economica che è stata causata da altri – ha affermato Sally Hunt, segretaria di Ucu – lo sciopero è l’ultima risorsa che avevamo a disposizione e l’abbiamo utilizzata». La protesta è cominciata in Scozia lo scorso 17 marzo, ed è proseguita con scioperi di un giorno in Galles il 18, in Irlanda del nord il 21 e in Inghilterra il 22, fino allo sciopero di ieri. Alle centinaia di picchetti di ieri, con megafoni, thermos pieni di tè e latte caldo, e cartelli con il logo viola della Ucu, i docenti hanno trovato la solidarietà  di molti studenti, reduci dalla grande ondata di proteste dell’autunno scorso che hanno dato vita a diverse occupazioni, come successo all’università  di Glasgow in Scozia, e alla School of Oriental and African Studies e al Goldsmiths College a Londra. Il timore dei docenti è che il numero di studenti crollerà  il prossimo anno, a causa dell’aumento delle rette. Diverse università  di seconda classe hanno annunciato che saranno costrette a chiedere il massimo di 9.000 sterline previsto dal nuovo piano di riforma, nonostante il governo avesse promesso che la maggior parte degli istituti avrebbe chiesto 6.000 sterline. Diversi istituti hanno ridotto drasticamente il target per le iscrizioni del prossimo anno. E questo nonostante le domande per un posto all’università  siano aumentate del 5% l’ultimo anno, con centinaia di migliaia di studenti a cui è stata negate la possibilità  di proseguire il proprio percorso educativo. E non basta: per cavalcare l’ondata xenofoba che imperversa nelle aree più disagiate, e lo spauracchio dell’idraulico polacco, il governo Cameron ha deciso di ridurre il numero di visti per gli studenti internazionali (già  oggi pagano circa 10 mila sterline) con una riduzione di 80 mila unità  all’anno. Una zappa sui piedi per una delle maggiori voci di export britanniche, come ammesso da una commissione parlamentare che si occupa del rilancio dell’economia.


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