Quando la società  civile funziona meglio dello Stato

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Gli amministratori ribadiscono che si tratta di una soluzione tampone, in attesa di interventi strutturali ma comunque dopo una ventina d’anni di immobilismo. In discussione è comunque il modello di accoglienza. Su questo Domenico Lucano, sindaco di Riace, ha le idee molto chiare: da un lato centri con recinzioni, regolamenti e una gestione costosa; dall’altro esperienze basate sull’accoglienza diffusa, la rivitalizzazione di borghi spopolati e interventi basati sul recupero edilizio e non su nuove costruzioni. Invece su Rosarno stanno per piovere milioni basati sul cemento, provenienti da Pon Sicurezza e Por della Regione Calabria: il centro di accoglienza pensato nella zone dell’ex Beton Medma, terreno confiscato ai Bellocco, e altri milioni per l’edilizia sociale. E poi corsi per potatori e badanti. All’insegna dell’integrazione per quella che è solo gente di passaggio. «Con due milioni e mezzo di euro si potrebbe realizzare accoglienza diffusa per tre mesi l’anno per venti anni, utilizzando le case sfitte e lasciando reddito al territorio, non a ditte di Milano o di Reggio Calabria, spesso legate alla criminalità  organizzata», osserva Lorenzo Romito, architetto dell’associazione romana Stalker. Intanto la società  civile è particolarmente attiva. La Rete Radici ha avviato con la Prefettura e le istituzioni un tavolo per la regolarizzazione dei migranti e l’emersione del lavoro nero. Gruppi come Equosud e Libera “Valle del Marro” hanno messo in rete gruppi di acquisto solidale e piccoli produttori etici. Fino a un anno fa chi faceva biologico vero e stipulava regolari contratti (magari trascorrendo mattinate in Questura per procedure interminabili) era del tutto isolato. Quasi un pazzo, sicuramente un ingenuo. Oggi è diventato il motore del cambiamento e un esempio da imitare. Uno dei tanti effetti della rivolta africana.


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