“Trascinato da Letta e Frattini mi riscatterò tentando di mediare”
BRUXELLES – Silvio Berlusconi arriva a Bruxelles e a sorpresa decide di saltare il vertice del Partito popolare europeo. Fa virare il corteo di auto e si chiude in albergo. Prima una riunione per preparare il summit Ue che si terrà in serata. Poi un sonnellino e molte telefonate a Roma. Con la stampa rimane in silenzio, ma il volto è teso. Nei colloqui riservati rivela la sua preoccupazione sulla crisi libica. Non vede una via d’uscita a portata di mano per risolvere il rebus di Tripoli. Con ministri e collaboratori si dice perplesso sulla missione militare, anche se è consapevole che «ora non possiamo certo tirarci indietro». Ma un dubbio si è ormai fatto strada nei suoi pensieri: «Con il senno di poi penso che avremmo potuto rimanere fuori dalla coalizione per ritagliarci un ruolo da mediatori». Pensieri amari, uno sfogo. Come quello di essersi fatto «trascinare» nell’intervento militare da Napolitano, Frattini e Letta. Sono loro che hanno più insistito a dare seguito alla risoluzione 1973 dell’Onu partecipando a “Odissey Dawn”. Una colpa che però il Cavaliere non può e non si sente di attribuire pubblicamente ai protagonisti di quello che ha avvertito come un vero e proprio «pressing» nei suoi confronti. «D’altra parte era difficile fare diversamente», ammette sconsolato. Ma la sensazione che esista un’asse viene rinforzata quando legge la lettera che il capo dello Stato invia a Frattini esprimendo «il vivo apprezzamento» per il lavoro del ministro e della Farnesina «in queste difficili circostanze». Berlusconi cerca di guardare avanti. Spera in un rapido cessate il fuoco per far ripartire la diplomazia. E la mediazione. Ci spera, anche se i suoi intenti potrebbero rivelarsi vani sogni di gloria. «Se ci sarà l’occasione ci proverò», confida. E nel frattempo incassa l’entrata in scena della Nato e dell’Unione africana. Poi potrebbe tentare di riprendersi la scena convincendo Gheddafi ad andare in esilio salvandolo dal Tribunale penale internazionale e sbloccando la crisi. Ma intanto le bombe continuano a cadere e il Cavaliere resta terrorizzato dall’idea di ritorsioni libiche contro l’Italia. Così come viene avvertito dei rischi che correrebbe se la mediazione fallisse: l’Italia rimarrebbe isolata e lui si esporrebbe alle critiche per aver tentato di salvare il dittatore di Tripoli. Obiezioni di fronte alle quali il premier annuisce pensieroso: «So come è fatto Gheddafi, sarà difficile convincerlo a lasciare la Libia». Il Cavaliere non si fida degli insorti di Bengasi. Se è vero che ha dato il via libera alla telefonata di Frattini con il capo del governo transitorio, Ibrahim Jibril, in più di un’occasione ha avvertito che «con i ribelli dobbiamo andarci cauti» perché sono guidati da due ex uomini di Gheddafi (Mustafa Abdel Jalil e Addel Fatah Yunis) il cui ruolo non gli appare chiaro e che certo «non sono espressione del nuovo». Insomma – tira le somme – rischiamo di cadere dalla padella alla brace. Preoccupazioni esternate anche nella cena di mercoledì con i Responsabili, dove si è fatto strada il rammarico, con il premier che ha mostrato agli ospiti l’album fotografico dei suoi incontri con Gheddafi. A Roma, a Tripoli, a Sirte e nel deserto. Ricordi sempre più lontani.
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