Cinema e musei, è boom di incassi

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ROMA – Più teatro, più cinema, più musica classica. Non c’è solo un’Italia che passa le domeniche pomeriggio al centro commerciale: c’è anche chi sceglie di visitare una mostra o un museo e chi – in anni di crisi che vedono scendere la spesa per abbigliamento e alimentari – decide di aumentare quella dedicata a cultura e spettacoli. Sarà  perché i periodi difficili fanno scoprire l’essenza delle cose o perché – come dice Sergio Escobar, direttore del Piccolo di Milano – in tempi di incertezza e frammentazione «il teatro non predice il futuro, ma ne fa venire una grande voglia», certo è che in Italia, nel 2010, la domanda di cultura è aumentata. Nonostante la caduta degli investimenti pubblici, la flessione delle sponsorizzazioni private e il crollo «fisico» di alcuni siti archeologici. I segnali che arrivano dal rapporto Federculture (la federazione dei servizi pubblici per cultura, sport e turismo) sono chiari. Nel 2010 c’è stato un boom di presenze a teatro (più 13,5 per cento), un aumento di pubblico ai concerti di musica classica (più 5,9 per cento) un picco di vendite nei biglietti per accedere a siti e monumenti statali (più 6,4 di presenze e più 7,5 d’incassi). Le visite a Pompei, nonostante i crolli, sono aumentate dell’11,1 per cento. Il settore ha contribuito al Pil per 39,7 miliardi di euro. Eppure, dal fronte degli investimenti, le prospettive non erano buone: due giorni fa, dopo mesi di polemiche, il governo ha deciso di finanziare il Fondo unico per lo spettacolo con un aumento di tasse sulla benzina, ma l’incertezza sugli investimenti pubblici aveva già  trascinato verso il basso quelli privati. Nel 2010 le sponsorizzazioni sono diminuite del 30 per cento, le donazioni del 7, le erogazioni delle fondazioni bancarie del 20,5. La voglia di cultura resiste: l’anno scorso le famiglie italiane vi hanno dedicato il 7 per cento della loro spesa totale. Ma ancora per quanto, si chiede Federculture? A parole, ricorda il rapporto, tutti concordano che senza cultura un paese non va da nessuna parte, muoiono le idee e quindi anche l’economia. Ma pur tenendo conto della limitatezza delle risorse l’Italia è ferma, a malapena sopravvive, non fa sviluppo. «Il potenziale è enorme – commenta Roberto Grossi, presidente della federazione – quello che manca è un progetto per il paese. Non si fa formazione, non si facilita l’accesso al sapere, non si spende. La Francia l’anno scorso ha investito in cultura 46 euro pro capite, l’Italia 20». Negli ultimi cinque anni i fondi pubblici sono diminuiti del 33 per cento: «in questo settore i capitali privati non possano bastare, ma sostenerlo con investimenti pubblici significa aumentare le possibilità  del paese di farcela». Non a caso «la Cina oggi spende in cultura il 7 per cento del Pil». Pensare di vivere di rendita, avverte il rapporto, è un’illusione: le presenze straniere lo scorso anno sono aumentate del 2 per cento, ma «non basta ripetere che siamo il paese con più siti Unesco, servono politiche attive». Negli ultimi anni non ci sono state e i risultati si sono visti: in un anno l’appeal dell’Italia è precipitato dal 6 al 12 posto del Country Brand Index 2010, classifica mondiale che registra l’attrattività  di un paese. Nel World Economic Forum 2010, che valuta la competitività  in campo culturale, siamo 48esimi, ultimi in Europa.


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