Con i mitra contro le mura di Ajdabiya la Rivoluzione impigliata in un borgo

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Ajdabiya era un grosso centro senza alcun interesse. Uno non ci pensava neppure di passare un week-end all’hotel Amal, appostato a nord della città , in direzione di Tripoli. Soltanto per i mercanti provenienti dal Sahara era una meta ambita. Dopo estenuanti cammellate potevano bagnarsi i piedi nel Mediterraneo che è a due passi. Per i camionisti era un incrocio importante perché da lì si diramano le strade per Bengasi, Kufra, Tobruk, Sirte. Inoltre a ovest, sempre di Ajdabiya, ci sono gran parte dei giacimenti petroliferi. Gli insorti hanno perduto Ajdabiya quando i gheddafisti sono partiti alla riconquista delle città  ribelli. Se adesso riuscissero a recuperarla la grande operazione aerea benedetta dall’Onu potrebbe segnare un importante punto in proprio favore. Sarebbe un successo. Significherebbe che l’appoggio degli aerei della coalizione ai giovani combattenti della Libia libera serve a qualcosa; e che i tempi della no-fly zone non rischiano di allungarsi troppo, perché dopo Ajdabiya gli insorti risalirebbero verso ovest e recupererebbero Brega, Ras Lanuf, e, perché no? Sirte, fino a ridurre lo spazio di Gheddafi, arroccato a Tripoli. Ma i combattenti della Libia libera sono insabbiati davanti ad Ajdabiya. Non avanzano. Non ce la fanno. Sono lì nel deserto che guardano le mura della città  con i kalashnikov puntanti, svelti nel disperdersi al primo missile o colpo di mortaio. Non c’è ombra di un comando, sembra che ogni combattente agisca di propria iniziativa, come e quando vuole. Si ha l’impressione che uno shabab si alzi dal letto quando gli conviene, vada al fronte, poi a casa all’ora di pranzo, con un mezzo proprio se ce l’ha e, poi ritorni davanti ad Ajdabiya fino al tramonto. I tempi rischiano di allungarsi, e l’impegno delle potenze occidentali di diventare più pesante. Sarebbe ingiusto dare addosso a giovani, spesso imberbi, perché non mettono abbastanza in gioco la loro vita. L’entusiasmo e il coraggio che non mancano, sono insufficienti per affrontare una forza militare addestrata e meglio armata qual è l’esercito di Gheddafi. Non c’è shabab che non avanzi le stesse ragioni per spiegare i motivi dello sconforto generale. L’impotenza davanti a Ajdabiya, benché spiegabile, è umiliante. Loro, i gheddafisti, hanno le “cavallette”. Le cavallette sono i razzi che piovono come la grandine sugli attaccanti armati di soli mitra, armi utili soltanto in scontri di città , di casa in casa, di strada in strada e non per espugnare una città . Hanno anche qualche carro armato, «quei figli di sharmutta», puttana, che tengono a distanza i nemici grazie ai loro cannoni con gittate senza concorrenza. Hanno perduto l’aviazione; anche gli aerei risparmiati dai Mirages e dai Tornado della coalizione sono infatti inchiodati a terra dalla no-fly zone; la quale non consente loro di decollare. Ma resistono lo stesso, «quei figli di sharmutta», e bloccano quella che doveva essere la grande controffensiva degli insorti. Dall’America è arrivato un generale, libico s’intende, che dovrebbe porre rimedio alla scarsa preparazione militare dei giovani combattenti, più manifestanti armati che soldati. Si chiama Khalifa Hefter e, prima di litigare con Gheddafi ha comandato le truppe libiche nel Ciad. Molti contano su di lui. Ma il generale Hefter ha bisogno di tempo e il tempo scarseggia. Da Bengasi è partito un Sos diretto alla delegazione libica dell’Onu, di New York, passata da tempo con la Libia libera, affinché chieda un impegno più forte della coalizione contro i gheddafisti. Più incursioni, più bombe. La tattica prevista era probabilmente quella di tagliare le linee di rifornimento alle città  conquistate dai gheddafisti e allineate lungo la costa mediterranea di milleduecento chilometri, da Tripoli a Bengasi. Città , in particolare quelle orientali, a grande distanza una dall’altra, quindi con una logistica vulnerabile. Una volta isolate dovevano diventare una facile presa per gli insorti. La resistenza di Ajdabiya ha dimostrato che non è così i giovani della Libia libera non sono in grado, almeno per ora di lanciare un’offensiva efficace. La nuova tattica chiede più impegno da parte della coalizione, più spregiudicatezza nella scelta degli obiettivi, e soprattutto più tempo. Perché adesso bisogna attendere che le guarnigioni gheddafiste soffrano dell’isolamento al punto da non poter resistere alla popolazione ostile. Oppure aspettare un’erosione dell’alleanza tribale su cui Gheddafi si appoggia. Quelli della tribù Warfalla, numerosa e potente, non sempre fedele a Gheddafi, ma una decisiva componente del suo schieramento, potrebbe riservare sorprese. Si tratta tuttavia di semplici ipotesi avanzate in soccorso della debolezza militare obiettiva della Libia libera. Finora non si può certo dire che la coalizione abbia fallito i suoi primi obiettivi. I Mirages e i Rafales francesi hanno sparato con precisione i colpi iniziali alle porte di Bengasi, dove ci sono ancora i carri armati sventrati dai loro missili. I jet francesi hanno di fatto salvato Bengasi, dove venerdì sera si erano già  infiltrate le avanguardie gheddafiste. Adesso nella città  domina l’angoscia. Si teme che le incursioni aeree della coalizione non siano sufficienti e che la Libia libera non sia in grado di difendersi da sola, quando quelle incursioni cesseranno. Si teme, insomma, che il ritorno di Gheddafi non sia affatto scongiurato. A Bengasi ritornerà  la tranquillità  quando il raìs non sarà  più di questa terra.


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