Ma le guerre non costruiscono niente

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Una lettura che consiglio. Francamente credo che ci si possa pronunciare contro questa guerra senza dover essere per forza tacciati come fiancheggiatori di qualche forza maligna. Perché la vera forza maligna è la guerra. Io sono convinto che sia ingiusta e faccio fatica a stare zitto, mi sentirei in imbarazzo. Certo, come ha scritto Michele Serra, di fronte a una situazione complessa e drammatica come quella libica viene da sentirsi «indecisi a tutto», ma poi se penso ai bombardamenti, a tutti gli uomini, donne e bambini che possono finire sotto il piombo, a maggior ragione per sbaglio, non ce la faccio a non decidere. Non riesco a pensare che i bombardamenti siano l’unico sistema per risolvere questioni così delicate. Non riesco a non pensare che siamo in un’area africana, un’area che trabocca di petrolio e d’interessi lontani dalla vita delle semplici persone libiche. È pur vero che ci saranno pochi contadini in Libia, come quelli cui si rivolgeva Giono, ma non mancano di certo i poveri e gli umili, coloro che ora stanno bussando alle porte dell’Europa, dell’Italia, di Lampedusa. Gli umili, che sono sempre i primi ad andarci di mezzo in situazioni di guerra: «il fronte e il ventre» dei conflitti. Nella post-modernità  facciamo la guerra ma vogliamo tenerla lontana e vogliamo tenerne lontane le conseguenze. Mentre viviamo una crisi epocale non riusciamo a prendere coscienza che i rapporti con il Sud del mondo si risolvono con la condivisione, a vantaggio di tutti. Condivisione non significa mandare aiuti umanitari per fermare l’invasione di migranti, il nostro principale spauracchio. Aiuti che tra l’altro ogni anno sono promessi dai governi del mondo con tanto di cifre e poi puntualmente non sono erogati. «La crisi», dicono. Ma se non ci sono soldi perché poi si trovano per le armi? In due giorni si trovano risorse per lanciare bombe, mobilitare eserciti, intanto nessuno vuole farsi carico di quei 15.000 umili, quei poveri cristi che sono “parcheggiati” a Lampedusa in condizioni disumane. Condivisione significa la volontà  di costruire insieme qualcosa di duraturo, qualcosa che non sottragga niente a nessuno, ma dia l’umana possibilità  di vivere degnamente a tutti e alle future generazioni, sulla propria terra. Condivisione significa proteggere la nostra “cittadinanza terrestre”, come la chiama Edgar Morin. Quindi lo devo dire: sono contrario alle guerre, a questa guerra come m’indignavo per il comportamento di Gheddafi. Il no al tiranno e alla sua strategia criminale deve però essere caparbiamente affermato da una comunità  internazionale che usi tutte le armi della diplomazia e del convincimento prima delle bombe. Lo dico non perché arriveranno i clandestini e gli sfollati, non perché ho baciato la mano a qualcuno e mi «dispiace per lui», nemmeno perché nutro interessi particolari o devo riverire un altro più potente di me, tra l’altro rendendomi ridicolo di fronte al mondo. Non è un caso che le persone che hanno a cuore l’ambiente e i beni comuni, i movimenti ecologici, quelli per l’acqua, per la difesa dell’agricoltura, contro il nucleare, quelli che combattono la fame e la malnutrizione e che lottano contro tutte le ingiustizie, sociali ed economiche, appartengano tutte alla schiera dei pacifisti convinti. A noi che ci sentiamo pienamente “cittadini della terra” non interessa il provvisorio, ci interessa ciò che dura nel tempo, anche se capiamo l’incertezza e lo smarrimento nel cercare di comprendere questi tempi difficili e gli sconcertanti avvenimenti di queste ultime settimane. Vi prego, leggete o rileggete Jean Giono: «La violenza e la forza non costruiscono mai. La violenza e la forza non ripagano mai l’uomo. Possono soltanto accontentare quelli che si soddisfano con il provvisorio. Malgrado tutte le nostre civiltà  occidentali, non abbiamo ancora smesso di saziarci del provvisorio. Forse sarebbe ora di pensare all’eterno. Non intimoritevi di fronte a questa parola: essa indica semplicemente uno dei vostri sensi, il più naturale, la vostra facoltà  più specifica». Era il ’38, eravamo a un passo dalla Seconda Guerra Mondiale.


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