Sentito Frattini…

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Ha silenziato-ritirato la sua mozione e si è quasi schierato nell’ombra dello «statista» ministro degli esteri – fino a proporre la formula «Sentito Frattini, il Senato approva…» – e dell’assente Berlusconi. Cioè i campioni dell’alleanza con Gheddafi in chiave anti-immigrati e ora propugnatori del blocco navale Nato che li ricongiunge alla Lega e, alla fine, li schiera bipartisan nella nuova guerra «umanitaria». Dimentichi dei danni già  prodotti (in Somalia, nei Balcani, in Iraq e Afghanistan). La guerra in Libia diventa deflagrante. Sta evidentemente mandando all’aria un buon numero di luoghi comuni sulle rivolte nei paesi arabi. Gran parte dell’opposizione di sinistra si trova oggi ad appoggiare la «coalizione dei volenterosi», mentre la maggioranza, che pure ha aderito all’operazione, pullula di distinguo ed è piena di dubbi. La discussione infuria, ma sembra che abbondi di petizioni di principio più che di valutazioni politico-strategiche. Per cominciare, è evidente che vecchie posizioni «nasseriane» non reggono più. Non può bastare che un governo sia nemico dei nostri nemici, cioè anti-imperialista, perché sia difeso come «amico». Il regime di Tripoli è una dittatura familiare abile nel fare affari con mezzo mondo, notoriamente razzista verso i paesi più poveri dell’Africa, repressivo, antidemocratico e oltretutto capace di speculare sulla povera gente, i migranti, per incassare prebende, finanziare l’esercito e incassare i dividendi. Quando cadrà , sarà  una liberazione per il suo popolo e gran parte del mondo. Ma questo non significa che questa guerra lo farà  cadere senza stragi, e tanto meno subito. Sembra indubbio che l’attacco dal cielo sia stato condotto, con la giustificazione di salvare subito Bengasi, senza idee strategiche chiare e un’idea dei tempi e delle mosse necessarie. Gli scenari che si aprono sono assai vari. Da un crollo improvviso (poco probabile), magari dopo l’eliminazione del colonnello, a una divisione di fatto del paese tra Tripolitania e Cirenaica (abbastanza probabile) e a una guerra civile prolungata (ancora più probabile). Bisognerebbe avere informazioni più dettagliate sulla consistenza dei gheddafiani e soprattutto su quella dei rivoltosi per sbilanciarsi. Ma è chiaro che un’idea precisa non l’avevano neanche Francia e Inghilterra, cinque giorni fa, a meno di non prendere per buone le informazioni di Bernard-Henri Levy… Se si legge tra le righe delle dichiarazioni e i pareri degli esperti, si scopre facilmente che l’opzione di un intervento di terra non è affatto esclusa, anche se è un bel grattacapo per gli stati maggiori, date le difficoltà  economiche. Vorrei ricordare che era l’opzione che si stava diffondendo nella primavera del 1999 al culmine dei bombardamenti contro l’ex Jugoslavia. Ma nessuno, allora, chiedeva ufficialmente la rivoluzione a Belgrado, mentre oggi il regime di Gheddafi lotta per la sopravvivenza e quindi resisterà  in ogni modo. Ma anche bombardamenti prolungati, in assenza di un intervento diretto sul campo, provocheranno lutti di ogni tipo. E ricordiamoci che non c’è missile o bomba umanitaria che non diffonda uranio impoverito e che non uccida altri civili. E, per l’amor del cielo, non ricorriamo alle petizioni di principio umanitarie o agli slogan «senza se e senza ma» o «se non ora quando».
 Se fossero questi in gioco, non si capisce perché l’Europa, con o senza Nato, non sia intervenuta negli anni Novanta in Algeria, dove la guerra civile ha fatto decine, se non centinaia, di migliaia di morti. Ma allora conveniva che il regime tenesse a bada gli islamici. E ricordiamoci che il regime di Saleh in Yemen non è meno ignobile di quello di Gheddafi, come quello del Bahrein, e anche la Siria non è da meno. Interveniamo anche lì? Infine, prima di sposare le ragioni delle bombe, ricordiamoci che l’incredibile voltafaccia di Berlusconi non è solo un cedimento obbligato. Con il comando militare sul mare, l’Italia non solo soddisfa le sue pulsioni nazionali davanti al disprezzo di Sarkozy (ecco dove fanno a finire le esibizioni televisive dei guitti con il tricolore sbandierato), ma «risolve» i suoi «problemi migratori». Ora non saranno più solo le nostre navi, ma l’intera marina della Nato a respingere in mare i migranti cacciati anche dalle nostre bombe. Magari con la scusa che trasportano terroristi. Non capisco perché la sinistra debba accettare per forza l’alternativa «o con Gheddafi o con i bombardamenti». Si possono e si debbono appoggiare le rivolte democratiche senza finire a far l’apologia delle guerre umanitarie. Quella, lasciamola a Veltroni e Bernard-Henri Levy. E non appoggiamo di fatto Berlusconi, mentre si fa finta di attaccarlo perché «poco deciso». Alla lunga, i bombardamenti, che l’Europa lancia non per senso dell’umanità , ma per ragioni economiche ed egemoniche così evidenti da risultare banali, riapriranno quel solco tra occidente e mondo arabo che le rivolte democratiche avevano apparentemente colmato. È questo che si vuole?


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