La Francia conquista Parmalat

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PARIGI – Lactalis si muove e dà  scacco matto. O poco ci manca: il gruppo francese controlla da ieri il 29% della Parmalat e l’ipotesi di una cordata italiana per difendere l’azienda di Collecchio diventa sempre più difficilmente realizzabile. La Borsa, del resto, non ci crede: ieri il titolo Parmalat ha perso il 7%, segno che gli operatori considerano quasi inespugnabile la posizione conquistata dai francesi. Lactalis ha colto tutti di sorpresa: già  proprietaria del 13,7%, si è presa anche un decisivo 15,3%. E’ la quota controllata dai tre fondi esteri, Zenit, Skagen e Mackenzie. Che nei giorni scorsi avevano «categoricamente» smentito un’alleanza con i transalpini e avevano assicurato di voler proteggere l’italianità  della Parmalat. Ma la lentezza con cui andavano avanti le trattative per la creazione di una cordata nazionale e il dinamismo dei transalpini, pronti al blitz pur di assicurarsi il controllo di un altro gruppo italiano dopo Galbani e Invernizzi, hanno fatto il resto. Ieri mattina, i tre fondi hanno annunciato di aver ceduto la loro partecipazione del 15,3 alla Bsa Sa, che controlla Lactalis. Quest’ultima, che già  poteva contare sul 13,7%, possiede così il 29% della Parmalat, cioè quanto basta per comandare senza dover lanciare un’Offerta pubblica di acquisto. Cos’ha fatto cambiare idea ai tre fondi? Secondo il loro comunicato, il moltiplicarsi delle liste per l’elezione del nuovo consiglio di amministrazione (quattro in tutto, proposte dagli stessi fondi, da Intesa, da Lactalis e da Assogestioni) presentava il rischio «di un consiglio diviso e di una governance inefficiente». Zenit, Skagen e Mackenzie sono stati così avvicinati «da parti non sollecitate interessate all’acquisto di azioni». Ma una sola ha presentato una proposta convincente, Lactalis, che ha offerto 2,80 euro per azione, cioè il 13,46% in più rispetto alla quotazione di lunedì. I tre hanno accettato: «Tenendo in considerazione la nuova situazione descritta sopra, il prezzo offerto e il fatto che non sono state ricevute altre offerte, i fondi hanno concordato di risolvere consensualmente l’accordo di coordinamento del 24-25 gennaio 2011 e hanno sottoscritto un accordo per la vendita di tutte le loro partecipazioni in Parmalat». La possibile cordata italiana è rimasta con un palmo di naso. La Granarolo ha detto di aver avuto contatti con Intesa e di essere disposta a svolgere un ruolo industriale nella Parmalat, ma di non avere quattrini: «Non abbiamo risorse finanziarie per questa operazione – ha detto Giampiero Calzolari, presidente della società  – Potremmo conferire pezzi della Granarolo all’interno di un veicolo. Saremmo partner industriali, abbiamo messo a disposizione le nostre sinergie industriali, che secondo noi sono elevatissime». La Ferrero, dal canto suo, ha detto di continuare ad essere interessata a una cordata italiana, «se matureranno le condizioni che la rendano possibile». Calzolari spera che «questa non sia la conclusione della vicenda», ma è evidente che i margini di manovra sono risicati: ieri il titolo Parmalat è sceso a 2,29 euro contro i 2,80 offerti da Lactalis ai tre fondi e un’Opa sull’azienda di Collecchio sarebbe molto onerosa. Fermare Lactalis è ormai quasi impossibile e anche il possibile decreto Tremonti potrà  difficilmente sbarrare la strada a una società  comunitaria. Lo smarrimento di politici e sindacalisti è ben riassunto dalla segretaria della Cgil, Susanna Camusso: «Noi siamo un paese scalabile, sistematicamente scalabile e vendibile».


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