L’Europa chiude la porta agli afghani: «Restate nei paesi vicini»

L’Europa chiude la porta agli afghani: «Restate nei paesi vicini»

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«Nessuno è in grado di prevedere cosa accadrà in Afghanistan, la situazione cambia e dobbiamo concentrarci su cosa fare per evitare una crisi umanitaria e, di conseguenza, una crisi migratoria». L’ennesimo vertice europeo sulla crisi afghana si è appena concluso e la commissaria Ue agli Affari interni Ylva Johansson prova a nascondere dietro il linguaggio felpato della diplomazia l’ennesimo rifiuto dell’Europa ad accogliere profughi da quel paese.

A riunirsi, convocati dalla presidenza slovena, questa volta sono stati i ministri dell’Interno. Più di cinque ore di confronto «vivace», come l’ha definito lo sloveno Aleu Hojs, per arrivare alle stesse conclusioni già delineate nei giorni scorsi dall’alto rappresentante della politica estera dell’Unione Joseph Borrell: aiutare economicamente Pakistan, Iran e Tagikistan, i paesi confinanti con l’Afghanistan perché organizzino l’accoglienza dei profughi, evitando così che un flusso di uomini, donne e bambini in fuga dal nuovo regime dei talebani possa arrivare fino alle frontiere dell’Europa. E se la commissaria europea lo dice in maniera educata c’è anche chi, come Danimarca, Austria e Repubblica ceca (ma nel fronte dei duri ci sono anche Germania, Ungheria, Polonia, Estonia e Lettonia), non fa tanti giri di parole: «Il messaggio più importante» che l’Unione europea» invia agli afghani è: «restate nel vostro paese, sosterremo la regione perché vi aiuti».

Niente porte aperte, quindi, come nel 2015. Anzi lo spettro di quanto accadde sei anni fa con la crisi dei siriani agita ancora i leader europei tanto da essere evocato a ogni passo. «Tutti vogliamo evitare la situazione del 2015 – ripete infatti Johansson – e possiamo evitarla, siamo molto più preparati ma dobbiamo agire insieme». I corridoi umani, dei quali si è pure parlato nelle scorse settimane, ieri non vengono neanche citati. Un po’ perché una decisione in tal senso dovrebbe essere presa dai capi di stato e di governo, e non dai ministri dell’Interno, ma soprattutto perché nessuno ha intenzione di organizzarli veramente.

Almeno non per tutti. L’Ue ha infatti ribadito di voler proseguire l’evacuazione di coloro che in Afghanistan «hanno collaborato con gli Stati membri dell’Unione, ma anche donne, giudici, attivisti per diritti delle donne e alcuni giornalisti e autori che sono sotto minaccia», ha spiegato Johansson. La questione verrà discussa nelle prossime settimane in un Forum sui reinsediamenti nel quale si deciderà quanti profughi l’Unione europea è pronta ad accogliere. Anche su questo, però, a Bruxelles i ministri hanno preferito restare sul vago evitando di fare cifre sulle possibili quote da destinare a ogni paese: «Non credo sia molto saggio parlare di numeri» perché «innescano un effetto calamita che noi non vogliamo» ha spiegato il ministro tedesco Horst Seehofer. Solo Lussemburgo e Finlandia hanno insistito perché nel documento finale del vertice si aprisse alla possibilità di un’accoglienza maggiore, ma si tratta di un successo relativo: anche se davvero l’Europa dovesse dare seguito ai reinsediamenti questi sarebbero ancora una volta solo su base volontaria.

Il vertice di ieri è stato anche l’occasione per la ministra Luciana Lamorgese di ricordare come quella afghana non sia la sola emergenza con cui l’Europa deve fare i conti. Dopo aver sottolineato come l’Italia sia il paese dell’Unione che ha accolto il maggior numero di afghani, la titolare del Viminale ha chiesto di mantenere alta l’attenzione anche sulle altre rotte, specie quella del Mediterraneo dalla quale in futuro potrebbero arrivare nuovi profughi anche dal paese asiatico. Motivo per cui è tornata a chiedere una revisione del regolamento di Dublino e l’avvio di un meccanismo che preveda i ricollocamenti in Europa di quanti sbarcano sulle coste italiane. Ma Lamorgese ha chiesto anche di non dimenticare gli impegni assunti con l’Africa e in particolare la promessa di investimenti destinati ad aiutare le economie di Libia, Tunisia e Sahel.
La crisi afghana sarà anche oggetto dell’incontro che giovedì sera avrà a Marsiglia con il presidente francese Emmanuel Macron.

* Fonte: Carlo Lania, il manifesto



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