Siberia. Catastrofe senza precedenti: incenerita un’area grande come metà Grecia
«Nessuno di noi dimenticherà mai questa estate», dicono gli abitanti di Yakutsk, trecentomila abitanti sulle sponde della Lena schiacciati dal fuoco che divampa a poche decine di chilometri di distanza, nei distretti di Gorny e di Namtsy, e sfiancano ormai da settimane le squadre di volontari.
Questo sarebbe il tempo del raccolto e delle mandrie libere nella taiga, ma adesso chi ha la terra lotta per cercare di salvarla dalle fiamme, e chi ha un lavoro lo ha lasciato per offrire aiuto. La mobilitazione è generale. Nei boschi ci sono 250 ragazzi della «Brigata studentesca russa», una delle organizzazione che, negli anni Novanta, ha raccolto l’eredità dei komsomol, e che rivive nella crisi in corso una inattesa rinascita.
Gli esperti di Greenpeace ritengono di avere davanti i roghi più vasti sulla faccia della terra: gli incendi in Siberia superano per dimensioni quelli attivi contemporaneamente in Europa e in Nord America.
I dati su cui si basano sono terrificanti e quel che è peggio ancora parziali. Nella Repubblica Sakha, o Yakutia, settantamila chilometri quadrati di foreste sono ridotte in cenere, è circa la metà della superficie della Grecia. Nonostante le richieste di sostegno delle autorità locali, il presidente russo, Vladimir Putin, ha ordinato soltanto martedì un’ispezione al ministro delle Emergenze, Evgeny Zinichev, e Zinichev ha raggiunto la Yakutia ieri, ha incontrato alcuni amministratori, e ha promesso l’invio da Mosca di mezzi aerei e di una squadra di duecento uomini, il che, però, non ha ammorbidito l’opinione della grande maggioranza degli abitanti del posto: molti ritengono che gli aiuti siano scarsi e soprattutto che arrivino in ritardo.
La macchia di fumo si muovo rapidamente. A Yakutsk una nebbia fitta e giallastra copre la città, l’unico centro di una regione che è grande quanto l’Europa, ma conta poco più di un milione di abitanti. L’aria è irrespirabile. Alle nove di ieri mattina le particelle di PM10 nell’atmosfera superavano diciannove volte i limiti di legge nei sedici punti di controllo urbani. Non è raro vedere passanti in strada con la maschera sul viso, e non si tratta di quella chirurgica per prevenire il coronavirus, ma di quella contro i gas. Persino i collegamenti con il resto della Russia sono diventati un problema.
La visibilità all’aeroporto è scesa a 150 metri a causa del fumo, e dei ventiquattro voli in programma ieri soltanto quattordici sono riusciti. Il presidente, Aisen Nikolaev, ha proposto di ridurre gli orari di lavoro proprio per non esporre i cittadini a rischi inutili. La misura dovrebbe entrare in vigore nei prossimi giorni, ma in questa periodo dell’anno le giornate durano diciotto ore e non è facile convincerli a non uscire di casa. Per di più l’emergenza sta risvegliando istanze e sensibilità nazionali alle quali il Cremlino non è stato sempre in grado di rispondere. Domani sera a Yakutsk è previsto un concerto a favore delle comunità più colpite organizzato dal collettivo «Gioventù del Nord», che danni porta avanti importanti attività in ambito culturale e musicale, conosciute ben oltre i confini siberiani.
Il problema per la Russia è, quindi, che la questione ambientale diventi presto una questione politica, e che influenzi pesantemente i rapporti fra il centro e la periferia. In parte il processo è già cominciato. Il contributo della Yakutia al bilancio federale è imponente in termini di risorse minerarie. Da qui parte, per esempio, il gasdotto che permette alla Russia di esportare ogni anno in Cina 38 milioni di metri cubi di metano sulla base di un accordo trentennale. Si tratta di una infrastruttura fondamentale nella politica estera russa.
Eppure gli investimenti nell’estremo oriente sono ancora minimi. A Yakutsk non esiste un ponte sulla Lena: d’inverno si attraversa sul letto del fiume congelato e d’estate usando un sistema di chiatte. Così, lo scarso impegno dello stato centrale in questa tremenda crisi ha riportato il confronto identitario al centro di un dibattito. Il Cremlino ha fornito assistenza in tempi stretti al governo turco, con tanto di messaggio di solidarietà di Putin al collega di Ankara, Recep Tayyp Erdogan: «Continueremo ad aiutarvi a spegnere gli incendi». In Siberia, però, le foreste ancora bruciano, il coraggio dei volontari appare senza limiti, ma non può bastare di fronte a questa enorme catastrofe.
* Fonte: Luigi De Biase, il manifesto
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