Istat conferma i dati della pandemia sociale: crescono poveri e senza lavoro
Il rapporto annuale dell’Istat. Aumenta la povertà al Nord. I più colpiti: giovani, donne e partite Iva. «Consumi al minimo, mai così bassi dal secondo Dopoguerra»
Più di una persona su cinque ha avuto difficoltà nel fronteggiare impegni economici e oltre 9 persone su 10 si sono rivolti a un parente, un amico o un vicino per ricevere un aiuto durante la pandemia. Sebbene gli interventi pubblici stanziati – circa 61 miliardi di euro – sono stati cospicui e hanno sostenuto il potere d’acquisto di chi è stato messo in cassa integrazione o ha perso il lavoro, nei primi 15 mesi del Covid le famiglie italiane hanno perso 32 miliardi di euro, mentre i loro consumi finali sono crollati quasi dell’11%, una percentuale mai registrate dal dopoguerra.Lo sostiene l’Istat nel rapporto annuale presentato ieri dal presidente Gian Carlo Blangiardo alla Camera.
Nel 2020 la povertà assoluta è cresciuta e ha coinvolto oltre 2 milioni di famiglie e più di 5,6 milioni di individui, un milione in più nel primo anno del Covid-19. La condizione peggiora di più al Nord che al Centro e nel Mezzogiorno dove però l’incidenza è ancora più elevata. Le più colpite sono le famiglie composte da cittadini stranieri extracomunitari dove il tasso di povertà è al 26,7% mentre quest’ultimo scende al 6% tra le famiglie italiane. Va ricordato che i nuclei stranieri residenti da meno di 10 anni in Italia sono stati esclusi dal cosiddetto “reddito di cittadinanza” da una norma voluta dai Cinque Stelle e dalla Lega nel primo governo di Giuseppe Conte.
Secondo i dati forniti ieri dall’Istat le misure del Welfare dell’emergenza adottate per contenere gli effetti delle chiusure per contenere la diffusione del virus sono state ripartire in questo modo: 13,7 miliardi sono andati alla copertura della cassa integrazione guadagni e 14 miliardi ad altri assegni e sussidi. Oltre 7 miliardi sono stati erogati per il « reddito» e la «pensione di cittadinanza»: 1,6 milioni di nuclei familiari percettori e 3,7 milioni di persone coinvolte. Il «reddito di emergenza», creato per evitare di estendere senza condizioni il «reddito di cittadinanza» ha interessato 425mila nuclei familiari, un numero enorme che tuttavia non rispecchia ancora il reale bisogno rimasto sommerso nei mesi della pandemia dove molti sono stati esclusi da questi sostegni di ultima istanza.
A maggio 2021 sono state perse 734 mila posizioni di lavoro, in particolare quelle precarie nel terziario. I più colpiti sono stati i giovani under 29, e le donne. Durante i primi mesi della pandemia è diventata ancora più evidente la diseguaglianza economica e sociale che colpisce le donne che hanno un titolo inferiore alla maturità. Nel 2020 aveva un’occupazione il 76% delle donne laureate (tra i 25 e i 54 anni) con figli sotto i 6 anni, mentre hanno mantenuto un lavoro solo il 26,4% di quelle che possiedono al massimo la licenza media. La disparità imposta dal mercato è aumentata da 47,9 a 49,5% ed è peggiore nel Mezzogiorno, dove gli stessi tassi risultano, rispettivamente, pari al 13,9 e 66,7%. Questa situazione non è solo il frutto di un mercato del lavoro che penalizza in maniera molto grave le donne, imponendo loro anche gravissime disparità salariali rispetto agli uomini. è anche il segno di un fallimento riconosciuto dell’intero sistema dell’istruzione. In Italia i laureati sono solo il 20,1% della popolazione attiva tra i 25-64 anni contro il 32,5% nella Ue27.
Il totale, impressionante, di perdite legate alle occupazioni precarie sono avvenute in particolare tra i lavoratori occupati saltuariamente, e in maniera intermittente negli alberghi e ristoranti (-12%), nei servizi alle famiglie (-9,6%), nel commercio (-3%) e noleggio, nelle attività professionali e nei servizi alle imprese (-2,9%). Il lavoro dipendente a termine, da solo, ha assorbito oltre l’85%. Tra le altre tipologie di occupazione la più colpita è il lavoro autonomo.
Nuovo minimo storico di nascite dall’Unità d’Italia», «massimo di decessi dal secondo dopoguerra. Il totale dei decessi è stato pari a 746.146, 100 mila in più rispetto alla media 2015-2019. E sono stati celebrati oltre 97 mila matrimoni in meno, si presume anche a causa delle norme anti-covid. Ma non solo. Per l’Istat c’è anche la precarietà che impedisce ai «giovani» di «realizzare i loro progetti», mentre «la crisi ha amplificato gli effetti del malessere demografico strutturale». I nati tra i residenti sono stati 404.104, in diminuzione del 3,8% rispetto al 2019 e di quasi il 30% a confronto col 2008, anno di massimo relativo più recente delle nascite.
Per la ripresa l’Istat vede una congiuntura favorevole, in particolare nelle costruzioni, nella manifattura e nei servizi. Ma, per il momento, la crisi sanitaria ha compromesso la solidità delle imprese: risultano strutturalmente a rischio la metà delle micro (3-9 addetti) e un quarto delle piccole (10-49 addetti), soprattutto nel terziario. Il 44,8% è per l’Istat «a rischio strutturale».
* Fonte: Mario Pierro, il manifesto
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