Rabbia contro ANP e Abu Mazen dopo l’uccisione in custodia di Nizar Banat
La doppia reazione alla morte di Nizar Banat è arrivata ieri da Ramallah, dagli uffici governativi e dalla piazza: da una parte il portavoce dei servizi di sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), il generale Talal Dweikat, ha annunciato la creazione di una commissione d’inchiesta; dall’altra migliaia di palestinesi hanno marciato verso la Muqata, il palazzo presidenziale, per protestare contro quello che non temono di definire un omicidio di Stato. Sono stati fermati dai lacrimogeni.
«Il popolo vuole la caduta del regime», hanno gridato, ispirati dagli slogan che dal 2011 hanno attraversato le rivolte nel mondo arabo. A scatenare una rabbia che ormai non cova più sotto la cenere è stata la morte, all’alba di ieri, del 44enne Nizar Banat.
Ex di Fatah, attivista, candidato alle parlamentari con la lista Freedom and Dignity (previste per lo scorso maggio ma cancellate dal presidente Abu Mazen), noto critico della leadership dell’Anp, Banat si è visto piombare nella sua casa di Dura a Hebron 25 poliziotti alle 3.30 del mattino. Hanno buttato giù la porta con un ordigno, raccontano i familiari, lo hanno picchiato con dei bastoni, spogliato e portato via.
Poco dopo è stato dichiarato morto dall’ospedale Alia di Hebron. Ma lì il suo corpo non c’era. Ammazzato di botte, accusa la famiglia, in una caserma dei servizi segreti. Banat era da tempo nel mirino dell’Autorità: arrestato diverse volte, aveva denunciato di aver ricevuto minacce negli ultimi tempi. E un mese fa 60 colpi di arma da fuoco avevano colpito la sua casa. Immediata la reazione degli altri partiti politici palestinesi, dal marxista Pflp ad Hamas, che chiedono un’inchiesta indipendente.
Per tanti palestinesi è solo l’ultimo esempio della deriva autoritaria dell’Anp, incapace di una strategia nazionale di liberazione dall’occupazione israeliana e concentrata solo sul mantenimento di un potere effimero e pericoloso.
* Fonte: Chiara Cruciati, il manifesto
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