Recovery plan: «I nuovi investimenti rischiano di finire all’industria bellica non alla Sanità»
Se si fa una ricerca sul sito del governo, nel Piano nazionale di ripresa e resilienza le parole spese militari e armi non compaiono. Ma quanti fondi finiranno all’industria bellica senza dichiararlo? È quello che si domandano il Comitato Bds, Comitato di lotta per la salute mentale di Napoli, Comitato Pace, disarmo e smilitarizzazione, Napoli città di Pace, Rete campana contro la guerra e il militarismo in un opuscolo scaricabile all’indirizzo http://tinyurl.com/opuantim.
Delle sei misure previste dal Pnrr (191,5 miliardi dal Next generation Eu, 30,6 miliardi dal Fondo complementare ottenuto dagli scostamenti di bilancio), la voce che dovrebbe starci più a cuore è Salute, che però si ferma a 18,5 miliardi, di cui 15,6 miliardi dal Pnrr e 2,9 miliardi a debito. Il sindacato dei medici Anaao Assomed lamenta: «I 15 miliardi sono appena l’8% del fondo europeo, molto meno di quanto destinato al superbonus edilizio. I 5,6 mld per l’ammodernamento degli ospedali appaiono largamente insufficienti rispetto alle necessità». Il piano investe «nell’infrastruttura tecnologica per la raccolta, l’elaborazione e l’analisi dei dati». Un comparto su cui sta investendo anche Leonardo, che sta sviluppando accordi con le case farmaceutiche.
La salute sarà la nuova frontiera della cyber security. È un problema? Una domanda che dovremmo porci visto il peso diseguale degli investimenti nei due comparti, salute e difesa. In 18 anni, il finanziamento del Sistema sanitario è passato dal 7% del Pil nel 2001 al 6,6% nel 2019. Dal 2010 al 2019 sono stati tagliati oltre 37 miliardi. Siamo passati da 1.381 istituti di cura (il 61,3% pubblici) del 1998 ai mille del 2017 (il 51,80% pubblici). Nel 1998 c’erano circa 311mila posti letto, nel 2017 circa 191mila. «La spesa militare italiana invece ha continuato ad aumentare: più 9,9% tra il 2015 e il 2018 – si legge nell’opuscolo -. Questa tendenza all’aumento annuale della spesa militare viene confermata anche in piena pandemia. La manovra finanziaria per il 2021, appena varata dal governo, ha destinato al bilancio della difesa ben 24,5 miliardi di euro». Ma il comparto militare pesca anche in comparti che sembrano estranei alla Difesa.
«Dentro gli ampi obiettivi – si legge ancora – compaiono linee d’intervento dalla doppia ricaduta civile- militare o direttamente indirizzate al potenziamento della filiera industriale dell’aerospazio, della difesa e della sicurezza. Questo è quanto mai evidente nelle misure 1 (Digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura) e 2 (Rivoluzione verde e transizione ecologica), a cui andrà la fetta più grande della torta del Recovery (rispettivamente 49,2 e 68,6 miliardi ndr)». Persino i fondi per «Banda Larga, 5G e monitoraggio satellitare» rischiano di finire in larga parte ad alimentare il settore militare. Così come gli investimenti sull’idrogeno si rischia che vengano assorbiti da progetti per elicotteri militari. Persino la dotazione di fondi alla ricerca universitaria rischia di finire nelle partnership con le industrie belliche.
Orientare produzione, ricerca e sviluppo verso l’industria bellica, senza mai dichiararlo in modo esplicito, provoca un cambio di paradigma sociale: «La gestione della pandemia – spiegano – è stata trasformata in un grande esperimento di disciplinamento sociale e di legittimazione dell’apparato militare. La gestione della crisi è stata usata per riaffermare il ruolo dei militari, utilizzati ad esempio per la logistica dei vaccini».
Alex Zanotelli ricorda il costo da pagare: «Secondo i dati Onu, 2 miliardi di persone soffrono di insicurezza alimentare, 690 milioni in forma severa. Per la pandemia avremo altri 250 milioni di impoveriti e raddoppieranno quelli assistiti dal Programma alimentare mondiale. Duemila super ricchi detengono una ricchezza superiore a quella posseduta da 4,5 miliardi di impoveriti. Ogni 5 secondi muore di fame un bambino. Secondo l’Organizzazione internazionale del Lavoro si sono persi più di 400 milioni di impieghi e più di 1,6 miliardi di lavori nell’economia informale. Sarebbe impossibile per i ricchi vivere da nababbi se non fosse per lo strapotere dovuto alle loro armi».
* Fonte: Adriana Pollice, il manifesto
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