Difensori dell’ambiente. In vigore l’Accordo di Escazú, un trattato a difesa della Terra
Era il 4 marzo del 2018 quando i rappresentanti di 24 paesi latinoamericani riuniti a Escazú, in Costa Rica, osservavano un minuto di silenzio in memoria di Berta Cáceres, il cui ritratto campeggiava nella sala del vertice, prima di adottare il primo trattato giuridicamente vincolante in materia ambientale dell’America latina e l’unico al mondo a contenere disposizioni specifiche per la protezione dei difensori dell’ambiente. È lei, la dirigente ecologista del popolo lenca uccisa il 3 marzo 2016 in Honduras per la sua lotta contro il progetto idroelettrico Agua Zarca, il simbolo dell’Accordo di Escazú entrato in vigore il 22 aprile scorso, in occasione della Giornata della Terra.
C’ERANO VOLUTI NOVE ROUND negoziali tra il 2013 e il 2018, sotto la guida di una commissione presieduta da Cile e Costa Rica, per produrre il testo finale di quello che tecnicamente si chiama Accordo regionale sull’accesso all’informazione, sulla partecipazione pubblica e sulla giustizia nelle questioni ambientali. E si è dovuto attendere lo scorso gennaio per raggiungere le ratifiche necessarie a consentirne l’entrata in vigore: ultime arrivate quelle di Argentina e Messico, che sono andate ad aggiungersi a quelle di Antigua y Barbuda, Bolivia, Ecuador, Guyana, Nicaragua, Panamá, Saint Kiss y Nevis, San Vicente y Granadinas, Santa Lucía e Uruguay.
NELLA REGIONE PIÙ PERICOLOSA al mondo per i difensori della terra – oltre due terzi dei 212 omicidi di ambientalisti commessi nel 2019 sono avvenuti in America latina – il trattato garantisce il diritto di accesso alle informazioni ambientali; la partecipazione pubblica alle decisioni riguardanti progetti e attività con un possibile impatto sull’ambiente e sulla salute; il diritto di accedere alla giustizia per controversie ambientali con adeguate forme di risarcimento; e l’impegno dei paesi firmatari a garantire «un ambiente sicuro e propizio» a persone, associazioni e gruppi impegnati nella difesa dell’ambiente, adottando misure adeguate, efficaci e tempestive per prevenire e punire intimidazioni, minacce, aggressioni.
E se nessuno si attende miracoli – non sarebbe né il primo né l’ultimo trattato a essere disatteso – è certo che l’accordo potrebbe fare molto rispetto agli innumerevoli conflitti legati al modello estrattivista. Non per niente è stato oggetto di un’intensa campagna di disinformazione, tale da bloccarne la ratifica o addirittura la firma in diversi paesi, compresi i principali promotori dell’accordo, Costa Rica e Cile: se nel primo il processo di ratifica si è arenato a settembre, in Cile il governo Piñera si è persino rifiutato di firmarlo, per presunte ambiguità e infondati rischi di contrasti con la legislazione ambientale nazionale.
MOLTO SIGNIFICATIVA anche la mancata ratifica da parte di tre dei paesi in cui i difensori dell’ambiente sono maggiormente in pericolo: il Brasile – dove l’accordo ha suscitato così poco interesse da non approdare neppure in parlamento -, la Colombia e il Perù, dove i rispettivi congressi hanno negato il via libera evocando il rischio che il trattato minacci la crescita economica, gli investimenti e la sovranità nazionale sui territori amazzonici.
Ma colpisce ancor di più l’assenza di Cuba e Venezuela, che non hanno neppure preso parte ai negoziati.
* Fonte: Claudia Fanti, il manifesto
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