Tav e non solo. Pensiero unico, dissenso, repressione

Tav e non solo. Pensiero unico, dissenso, repressione

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Esiste un filo rosso che lega fenomeni a prima vista eterogenei come la criminalizzazione del conflitto sociale, la repressione delle rinate lotte operaie, la delegittimazione della rete di soccorso e accoglienza dei migranti e molto altro ancora?

Sì, esiste. E sta nel crescente tentativo dello Stato, nelle sue diverse articolazioni, di rimuovere con la forza i problemi che non sa o non vuole risolvere.

L’espulsione dalla scena pubblica del conflitto agito da movimenti sociali antagonisti o semplicemente non omologati è, dal luglio 2001, una costante.

Con un caso di scuola: quello della Val Susa, dove a fronte della opposizione al Tav si è assistito progressivamente all’esclusione della comunità locale da ogni interlocuzione, alla manipolazione dei dati relativi all’utilità dell’opera, alla criminalizzazione della protesta con interventi legislativi, amministrativi e di polizia comprensivi di un uso sproporzionato della forza e a un’azione repressiva della magistratura senza precedenti per numero di indagati, qualità delle imputazioni, impiego di misure cautelari, dilatazione delle ipotesi di concorso di persone nel reato e finanche – come nel caso del processo contro Erri De Luca – riesumazione del delitto di apologia di reato.

Non basta. Quando, negli ultimi anni, il conflitto è tornato nei luoghi di lavoro, in particolare nei settori della logistica e dei lavoratori migranti, le pratiche repressive si sono estese fino all’uso di lacrimogeni contro gli scioperanti, alla riscoperta del delitto di «picchettaggio» e alla dilatazione a dismisura, anche in questo caso, della responsabilità a titolo di concorso.

Oggi si contano a centinaia i lavoratori sottoposti a processo penale per violenza privata, resistenza a pubblico ufficiale e blocco stradale (reato, quest’ultimo, ripristinato nel 2018, non a caso, da uno dei decreti Salvini). Di ugual segno sono molti interventi nei confronti di organizzazioni, movimenti e singole persone impegnati, dal Mediterraneo ai confini occidentale e orientale, nel salvataggio e nel sostegno a migranti in arrivo o in transito.

Diciamolo in modo esplicito: l’obiettivo è quello di fare terra bruciata intorno ai migranti diffondendo il messaggio che le organizzazioni impegnate nel soccorso (e, da ultimo, persino i giornalisti che lo documentano) sono collusi con i trafficanti, corrotti e, magari, al soldo di potenze straniere.

Ciò a sostegno di una impostazione nella quale le campagne xenofobe della Lega si sono intrecciate con gli strappi di un ministro come Marco Minniti, con la propaganda di Di Maio e con le iniziative marcatamente repressive di diverse Procure, da Catania a Trapani e a Locri, nei confronti di Ong o di esperienze simbolo dell’accoglienza come quella di Riace.

Bastano questi flash a far intravedere il filo rosso dell’insofferenza, segnalata all’inizio, nei confronti del dissenso, della protesta, dell’opposizione radicale, del pensiero diverso.

È, a ben vedere, l’altra faccia della crisi della democrazia, di quella crisi che individuiamo, in genere, con il venir meno dei canali della rappresentanza (dai partiti ai corpi intermedi), l’adozione di sistemi elettorali che escludono le minoranze, il trasferimento del potere reale in luoghi diversi dalla politica, la concentrazione dell’informazione in poche mani prive di legittimazione.

Ed è l’avvisaglia di quella democrazia autoritaria che sta soppiantando, anche in alcune parti d’Europa, lo Stato di diritto.

Di questo si discuterà domani, giovedì 22 aprile, dalle 16 alle 19 nel convegno «Pensiero unico, dissenso, repressione» (diretta streaming qui), organizzato da Centro Riforma dello Stato, Controsservatorio Valsusa, Fondazione Basso, Società della Ragione, Studi sulla Questione Criminale, Udi Palermo e Volere la Luna, con la partecipazione di Maria Luisa Boccia, Livio Pepino, Daniela Dioguardi, Xenia Chiaramonte, Lorenzo Trucco, Claudio Novaro, Rossella Selmini, Ilaria Boiano, Nicoletta Dosio, Franco Focareta, Lorena Fornasir, Francesco Martone, Filippo Miraglia e Marina Prosperi.

* Fonte: Livio Pepino, il manifesto



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