Petrobras. La pandemia non ferma le privatizzazioni selvagge di Bolsonaro
La pandemia non ferma le manovre intorno alla Petrobras, la più grande impresa dell’America latina ed emblema del nazionalismo brasiliano. Sul terreno petrolifero si sono giocate in questi anni importanti partite che, tra successi e scandali, hanno modificato gli equilibri politici del Brasile.
A FINE FEBBRAIO di quest’anno è stato Bolsonaro a prendere l’iniziativa, nominando ai vertici della compagnia l’ex generale dell’esercito Joaquim Silva e Luna, in sostituzione di Roberto Castello Branco, in carica dal 2019. Bisogna risalire al 1989 per trovare un altro militare, retaggio del vecchio regime, alla guida della società petrolifera. Il cambio voluto da Bolsonaro ha colto di sorpresa economisti e politici ed è arrivato all’indomani dell’annuncio di un aumento del prezzo della benzina del 10% e del gasolio del 15%. Si sarebbe trattato del quinto rialzo dall’inizio del 2021, con i camionisti pronti a bloccare il paese. Bolsonaro, dopo aver dichiarato di non voler intervenire sulle dinamiche del mercato, accusava la dirigenza della società petrolifera di «codardia» per gli aumenti e di voler favorire gli investitori piuttosto che i brasiliani.
L’INIZIATIVA DI BOLSONARO ha prodotto un crollo del 25% delle azioni di Petrobras, in parte recuperato nei giorni successivi, innescando una discussione sul ruolo strategico della compagnia petrolifera nell’economia del paese e sulle politiche dei prezzi dei carburanti.
Le privatizzazioni di vasti settori a capitale pubblico sono il fiore all’occhiello di questo governo: società, aeroporti, autostrade, porti, banche, parchi nazionali. Sono 115 progetti, tra concessioni e privatizzazioni, che rappresentano il più esteso programma di smantellamento nella storia del continente latino-americano.
LA PETROBRAS non è mai entrata ufficialmente nell’elenco delle società da privatizzare, ma la quota di capitale pubblico si è progressivamente ridotta a partire dal governo Temer. Se nel 1995 la quota detenuta dallo stato era del 75%, all’insediamento di Temer era del 68%. Il presidente golpista mise sul mercato le stazioni di servizio e una parte della rete di gasdotti, riducendo al 62,7% la quota statale. In poco più di due anni, il governo Bolsonaro alleggerisce ulteriormente la compagnia petrolifera, mettendo sul mercato 8 delle 13 raffinerie che operano in Brasile, cedendo le attività legate al settore petrolchimico, col risultato di far scendere la quota detenuta dallo stato al 50,2%, appena sufficiente a controllare la società. Un’opera sotterranea di smantellamento.
ORA, DOPO AVER GIUSTIFICATO le privatizzazioni come «una necessità dopo la cattiva gestione dei governi di sinistra», ci si preoccupa della perdita di consensi che può provocare una spregiudicata politica di smantellamento delle società a capitale pubblico. Sono anche ampi settori delle forze armate, che sono il “partito” di riferimento di Bolsonaro, a ostacolare la privatizzazione di società strategiche come Petrobras. Andare avanti, ma con giudizio, nell’opera di smantellamento, sembra essere la nuova postura del governo. Inoltre, da un sondaggio dell’Istituto Datafolha, risulta che il 65% dei brasiliani vuole il controllo pubblico sulla compagnia petrolifera.
DOPO LA CESSIONE di numerose attività, la Petrobras è impegnata essenzialmente nell’estrazione del greggio, non operando più sull’intera catena che va dal pozzo alla pompa. La raffinazione avviene in altri paesi, col paradosso che il Brasile deve importare benzina e gasolio, soggiacendo alle dinamiche del mercato internazionale. Durante i governi Lula e Dilma era stato messo in atto un sistema di prezzi amministrati e gli aggiustamenti tenevano conto del mercato interno e dell’inflazione, evitando le forti oscillazioni e contenendo l’impatto sul costo della vita.
LE NUOVE TECNICHE di estrazione hanno consentito alla compagnia brasiliana di raggiungere all’inizio del 2020 livelli record di produzione, con 4 milioni di barili al giorno e anche durante questa pandemia i livelli produttivi si mantengono elevati. La insaziabile domanda delle raffinerie asiatiche spinge le esportazioni del petrolio brasiliano che, per il suo basso contenuto di zolfo, si presta ad essere raffinato in modo più facile ed economico.
Il greggio proviene dai vasti giacimenti sottomarini individuati a partire dal 2000 e che hanno fatto del Brasile una potenza petrolifera. Quando, nel 2007, fu individuato a 250 km dalla costa di Rio il giacimento Tupi, chiamato anche giacimento Lula, il presidente definì quella scoperta come «la seconda indipendenza del Brasile» e Petrobras veniva vista come motore per lo sviluppo economico del paese. Quel progetto è stato bruscamente interrotto a partire dal 2016 dalle vicende politico- giudiziarie che hanno travolto Dilma e Lula e spianato la strada a Bolsonaro.
MA PETROBRAS CONTINUERÀ ad essere al centro dell’economia e della politica brasiliana, ancor più dopo il ritorno di Lula sulla scena politica. Il ruolo che devono avere le imprese pubbliche, la loro capacità dl favorire lo sviluppo, ma anche le degenerazioni a cui spesso vanno incontro, sono temi che in Brasile animeranno il dibattito.
* Fonte: Francesco Bilotta, il manifesto
ph by Andrevruas, CC BY 3.0 <https://creativecommons.org/licenses/by/3.0>, via Wikimedia Commons
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