Spagna. Arrestato il rapper Pablo Hasél dopo irruzione dei Mossos all’università
Ora tutti vorrebbero cambiare il Codice penale, Ma Madrid che non tutela la libertà di espressione, affossa le indagini sui torturatori e autorizza le marce antisemiteb diventa un caso anche nell’Unione europea
La polizia ha atteso che in Catalogna si chiudessero i seggi prima di procedere all’arresto di Pablo Hasél, dopo che venerdì erano scaduti i dieci giorni concessi all’artista per costituirsi e iniziare a scontare la condanna per «apologia di terrorismo» e «ingiurie al Re e alle istituzioni».
Dopo la scelta di non costituirsi Hasél non ha atteso che i Mossos lo prelevassero a casa, e lunedì si è rinchiuso, con decine di solidali, nel Rettorato dell’Università di Lleida. Ieri all’alba centinaia di agenti della polizia autonoma catalana hanno superato le barricate e forzato il cancello dell’edificio. Il 32enne non ha opposto resistenza; mentre veniva caricato su un’auto per essere trasferito al vicino carcere di Ponent, ha gridato slogan contro fascismo e repressione. Ore prima, parlando a centinaia di manifestanti, aveva chiesto di proseguire con la mobilitazione a favore della libertà d’espressione e contro gli «apparati franchisti dello Stato».
La “drammatizzazione” dell’arresto ha tenuto alta l’attenzione sulla vicenda anche a livello internazionale. Pablo Hasél è diventato l’unico artista condannato a una pena detentiva, in tutta l’Ue, per il contenuto della sua attività. Già nel 2019 l’ong internazionale Freemuse denunciava che la Spagna guidava la classifica mondiale degli artisti arrestati: 14 casi, davanti a Iran, Turchia e Birmania.
«LA LIBERTÀ D’ESPRESSIONE protegge non solo le opinioni inoffensive, ma anche quelle che feriscono» recitava una raccomandazione inviata a Madrid dalla Corte europea dei Diritti umani; ma gli appelli degli organismi internazionali non hanno finora convinto la classe politica spagnola a depenalizzare i reati d’opinione. Nei giorni scorsi il governo spagnolo, spinto dalla imprevista mobilitazione di centinaia tra cantanti, attori, registi e scrittori, ha promesso di modificare il Codice Penale.
Il President catalano facente funzione, Pere Aragonés, ha criticato un ordinamento giudiziario «che protegge la Corona più della libertà d’espressione»; Unidas Podemos ha invece annunciato la presentazione al Ministero della Giustizia di una richiesta di indulto.
INTANTO HASÉL è finito dietro le sbarre e rischia di restarci a lungo (l’ordine di cattura parla di 2 anni e 4 mesi); un altro rapper, Valtonyc, è dovuto scappare in Belgio. A finire sotto la lente della giustizia i duri giudizi e le critiche al vetriolo – nello stile caustico e sopra le righe tipico del rap – nei confronti della famiglia reale, dell’esercito, della polizia e di alcuni esponenti politici soprattutto ma non solo di destra.
La condanna di Hasél fa riferimento a 64 tweet e a una canzone; alcuni dei testi incriminati accusavano il «re emerito» e suo figlio, Felipe VI, di essere in affari («mafiosi») con l’Arabia Saudita; altri denunciavano la violenza e l’impunità della polizia. Nel frattempo, Juan Carlos di Borbone è fuggito ad Abu Dhabi per sottrarsi a varie inchieste, una delle quali per una maxi mazzetta ricevuta dalla famiglia reale saudita; la Cedu, invece, ha sanzionato Madrid (per l’undicesima volta) per non aver adeguatamente indagato su alcuni casi di tortura ai danni di prigionieri politici baschi.
Le condanne, denunciano giuristi e attivisti, mirano ad intimorire la cultura dissidente, a costringere gli artisti all’autocensura. «Dalla fine dell’Eta i processi per apologia del terrorismo sono quintuplicati. Famosi umoristi mi hanno confessato che hanno paura a scrivere» ha raccontato Valtonyc. Secondo la penalista Laia Serra, «i tribunali applicano l’articolo 578 – “apologia del terrorismo” – in modo indiscriminato». Carlos Almeida, avvocato della Piattaforma per la difesa della libertà d’informazione, «il Codice penale blinda l’esercito, la monarchia, la patria e la Chiesa. Da allora tutto è peggiorato».
IN MOLTI SI CHIEDONO ORA se i tribunali saranno altrettanto rigidi con gli organizzatori della marcia neofascista che sabato ha sfilato, indisturbata e con tanto di autorizzazione, nelle vie di Madrid. Le richieste preventive di vietarla non erano state accolte, e l’indagine della Procura di Madrid è scattata solo dopo l’intervento delle comunità ebraiche, indignate per gli slogan antisemiti proferiti al termine della lugubre parata.
* Fonte: Marco Santopadre, il manifesto
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