Repressione e condanne arbitrarie in Algeria, anche l’Europa se n’è accorta
Karim Tabbou, uno dei principali leader del movimento di protesta Hirak in Algeria, è stato condannato lunedì «a un anno di prigione con sospensione della pena e a una multa di 100mila dinari», dal tribunale di Koléa (Tipaza). Le accuse contro il portavoce del partito dell’Unione democratica e sociale (Uds) sono state riclassificate come «incitamento alla violenza». Già lo scorso marzo, Tabbou era stato condannato a un anno di reclusione, per «aver minato l’unità del territorio nazionale» ed era stato liberato, in regime di libertà condizionata lo scorso 2 luglio, dopo 9 mesi di detenzione.
L’impianto accusatorio, come spesso è avvenuto e avviene tuttora, riguarda le critiche di Tabbou nei confronti dell’establishment politico algerino e in particolare nei confronti del generale Ahmed Gaid Salah (deceduto lo scorso dicembre 2019), vero uomo forte del regime prima dell’elezione del presidente della repubblica Abdelmajid Tebboune.
La sentenza è in continuità con quella di tre giorni fa nei confronti di Nour El-Houda Oggadi, studente e altra figura chiave dell’Hirak, condannato a sei mesi di detenzione per «assemblea disarmata, istigazione, disprezzo e violenza contro la nazione».
Proprio riguardo al costante regime di repressione in Algeria, lo scorso 26 novembre si è espresso il Parlamento Europeo con una risoluzione di emergenza per denunciare le violazioni dei diritti umani e nello specifico: « intimidazioni, aumento degli arresti politici e detenzioni arbitrarie, mancanza di indipendenza giudiziaria, accuse di tortura, attacchi alla libertà di espressione e associazione, restrizioni illegittime con il pretesto della crisi sanitaria».
Il documento richiede «l’immediata liberazione dei circa 100 detenuti di opinione ancora attualmente in carcere», facendo riferimento ai leader delle proteste dell’Hirak e ai numerosi giornalisti arrestati, primo fra tutti Khaled Drareni condannato ingiustamente «a 2 anni di reclusione per aver informato il mondo riguardo alle proteste in atto in Algeria».
Un ultimo riferimento della risoluzione riguarda i nuovi emendamenti al codice penale algerino e la nuova costituzione, approvata con una scarsissima adesione nel referendum dello scorso 1 novembre, in particolare «per il fatto di attribuire ancora troppo potere al presidente della Repubblica, a discapito dell’autonomia del potere giudiziario e di quello politico».
Le reazioni di indignazione non si sono fatte attendere da parte di Algeri, dove il governo e i partiti della maggioranza hanno denunciato questa risoluzione come «ingerenze straniere negli affari interni della nazione». Reazioni in contrasto con quelle delle ong internazionali – Amnesty International, Human Rights Watch, Reporters Sans Frontières – e locali – Lega Algerina per i Diritti Umani (Laddh) e il Comitato nazionale per la liberazione dei detenuti (Cnld) – che denunciano «un costante clima di repressione nel paese per ostacolare qualsiasi protesta che richieda un cambiamento del regime».
Secondo il presidente della Laddh, M. Benissad «questo clima di repressione del dissenso è innegabile come lo sono alcune riforme della costituzione che sono liberticide (…) la risoluzione europea ci ricorda che l’Algeria, come Stato di diritto, ha assunto impegni internazionali che deve onorare riguardo il rispetto dei diritti umani e la libertà di espressione e di stampa»
* Fonte: Stefano Mauro, il manifesto
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