Regno Unito: record di spese militari, Boris Johnson rilancia l’industria della guerra
«Ho deciso che i tempi di tagliare la nostra spesa per la difesa dovevano finire, e finiscono adesso». Nell’immobilità glaciale del saloon, Boris Johnson rimette lentamente la pistola nella fondina. L’annuncio dell’aumento del budget per la difesa di sedici miliardi e mezzo di sterline annue (circa 18.5 miliardi di euro) lungo un programma quadriennale, il premier l’ha dato mercoledì. Così Johnson ha finalmente lanciato la sua agenda militare blu di Prussia, che «creerà 40mila posti di lavoro». Peccato solo che fosse attraverso il collegamento video che lo separava dall’aula semideserta – fatto senza precedenti per il settimanale appuntamento di Prime Minister’s Questions: uno scenario dimesso per un sì vibrante annuncio.
MALGRADO LA CIALTRONERIA e gli intrighi da rotocalco che ne hanno finora contraddistinto la leadership, nello sciabordante repertorio su Britannia-rules-the-waves, (domina i mari) – da Elisabetta I e Francis Drake fino all’isterica fissazione brexittara sulle quote del pescato – Johnson ci sguazza. Parte dei denari sarà dunque spesa per proteggere le rotte navali di approvvigionamento nazionale e scialacquata nella cosiddetta deterrenza nucleare, il fantasmagoricamente costoso e inutile programma Trident (che il testé epurato Corbyn aveva avuto l’ardire inaudito di criticare) e, appunto, riportare la Gran Bretagna a essere «la principale forza navale in Europa» oltre che a portare a «un rinascimento dei cantieri navali nel Regno Unito».
AL LINGUAGGIO filibustiere-vittoriano si affianca naturalmente un occhio alla modernizzazione digitale, come l’ugualmente appena allontanato Dominic Cummings non si stancava di raccomandare prima della defenestrazione. Pertanto ci si dedicherà senza indugio alla realizzazione di un nuovo centro dedicato all’intelligenza artificiale, alla creazione di unità antiterroristiche specializzate in guerra digitale, a un nuovo comando spaziale della Raf per il lancio di satelliti britannici e il nostro primo razzo dalla Scozia nel 2022. Quasi meglio dell’ultima Playstation, perché per davvero.
Se per un paese sedicente non europeo dall’importanza “geopolitica” in rampante declino – e per di più in tempi di pandemia globale, turbo-disoccupazione ed economia semi-apoplettica – buttare questi soldi nella ritirata (nell’altro senso) militare può sembrare criminale quanto velleitario, nella narrativa nazional-magniloquente in cui i tories si esercitano davanti allo specchio tutte le mattine non è affatto abbastanza. E benché per la Gran Bretagna si tratti dell’incremento delle spese militari più elevato dai tempi di Thatcher, questo annuncio di Johnson a stento riuscirà a silenziare la pletora di alti ufficiali che da decenni si strappano i galloni per i tagli che ha dovuto subire la loro industria. La spesa annuale della difesa dal 2010 al 2017 è infatti calata di oltre sei miliardi e mezzo di sterline.
Ha tuttavia cominciato a risalire dal 2016, una prevedibile conseguenza dell’aver mollato gli ormeggi dall’Europa sotto la supervisione di Theresa May, anche lei migliore amica di poliziotti e soldati. Dunque non è il momento di abbassare la guardia. Sebbene il paese spenda in armamenti più di qualunque altro in Europa, e abbia nella Bae uno dei produttori industriali di morte più tentacolari e profittevoli al mondo, sui nostri ragazzi grava ancora un inaccettabile deficit di 13 miliardi di sterline. Che Johnson sembri intenzionato a riempirlo almeno in parte intaccando il budget agli aiuti umanitari, correttivo con cui il paese salda in denaro i danni che ha inflitto al sud del mondo (e che il gergo economico chiama asetticamente esternalità) è perfettamente funzionale all’aria autarchica che si respira nel paese.
E I LABURISTI? Lanciatissimo dopo la bonifica di Corbyn, Keir Starmer può riallinearli indisturbato all’ortodossia definendo l’annuncio «un benvenuto e da tempo tardivo ammodernamento delle difese della Gran Bretagna dopo un decennio di declino». Senza poi dimenticare che Starmer è Sir. Sai quanto gli starebbe bene la divisa
* Fonte: Leonardo Clausi, il manifesto
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