Libia. La Guardia costiera, finanziata dall’Italia, spara e uccide tre migranti
Nella Libia che l’Europa si ostina a considerare un porto sicuro, i migranti muoiono uccisi dai colpi della Guardia costiera finanziata ed equipaggiata dall’Italia. E’ accaduto lunedì sera verso le undici a Khums, città costiera della Tripolitania, dove un gruppo di 73 migranti – tutti sudanesi a eccezione di 8 marocchini – partito qualche ora prima a bordo di un gommone, è stato prima intercettato in mare e poi riportato indietro da una motovedetta libica. Al momento della sbarco, consapevoli di cosa li aspettava, i migranti hanno tentato la fuga pur di non essere internati in uno dei famigerati centri di detenzione gestiti dal governo di Tripoli.
La reazione della Guardia costiera è stata immediata ed è consistita nell’aprire il fuoco sui fuggitivi. Tre migranti morti e due feriti, tutti cittadini sudanesi, è il bilancio dell’operazione condotta dalle milizie alle quali l’Unione europea, e in particolare il governo italiano, ha affidato il Mediterraneo centrale con il compito di fermare i barconi.
Non è la prima volta che drammi simili accadono. Il 19 settembre scorso sempre la Guardia costiera aprì il fuoco nel centro di Abusitta, a Tripoli, contro 103 migranti che facevano resistenza al loro trasferimento in un centro di detenzione. Un migrante, colpito allo stomaco, morì mentre lo stavano portando in ospedale. «La consapevolezza di finire in quei centri alimenta il desiderio di fuga dalla Libia», spiega al manifesto Federico Soda, responsabile nel Paese nordafricano dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) che ieri ha denunciato quanto accaduto a Khums. <TB>«Il lavoro della Guardia costiera libica rallenta le partenze – prosegue Soda -, ma tutto quello che accade sul territorio, compresa la detenzione usata come strumento di deterrenza, ha l’effetto opposto».
Per Vincent Cochetel, inviato speciale dell’Unhcr per il Mediterraneo, «questo incidente sottolinea chiaramente che la Libia non è un porto sicuro». Cochetel ha poi chiesto l’avvio di un’inchiesta.
Sono passati solo pochi giorni da quando il parlamento italiano ha votato il decreto missioni che comprende anche nuovi interventi a favore della Guardia costiera di Tripoli, ed è in corso la revisione del Memorandum italo-libico sull’immigrazione dove i libici si sarebbero impegnati a rispettare i diritti umani dei migranti. Libia che non ha mai firmato la convenzione di Ginevra ma che nonostante questo continua ad avere credito dai governo occidentali. Utilizzando accanto ai centri ufficiali anche altri non ancora ufficialmente autorizzati dal ministero dell’Interno di Tripoli e dove le agenzie Onu non mettono piede. Come quello di Mabani, nella parte sud est di Tripoli, dove da almeno quattro mesi verrebbero richiusi i migranti nonostante l’apertura ufficiale sia prevista, insieme a un altro centro sempre a Tripoli, solo nei prossimi giorni. «E’ un sistema sbagliato che parte dall’Europa», prosegue Soda riferendosi a quelle che sono solo prigioni per uomini, donne e bambini.
La tragedia di Khums non poteva non avere ripercussioni anche sulla politica italiana. «Al netto di tutte le ipocrisie di circostanza, quanto accaduto è esattamente quello per cui finanziamo la Guardia costiera libica: fermare i migranti con ogni mezzo. Un orrore di cui il nostro Paese è consapevolmente responsabile», attacca il dem Matteo Orfini. Gli fa eco Riccardo Magi (+Europa) per il quale «continuare a far finta di nulla finanziando un corpo militare che fa affari con il commercio di vite umane vuol dire rendersi complici di gravi crimini e violazioni sistematiche dei diritti umani». Erasmo Palazzotto (LeU) e Laura Boldrini (Pd) hanno entrambi chiesto al governo di riferire in aula mentre Emergency ha chiesto all’Italia di cessare al più presto ogni collaborazione con la Guardia costiera libica. «Siamo sconvolti e indignati per quanto successo», ha invece scritto su Twitter la ong Sos Mediterranée. «Nell’ultima settimana barche in difficoltà sono state lasciate senza assistenza nel Mediterraneo. Altre sono state respinte dalle zone Sar europee verso la Libia».
* Fonte: Carlo Lania, il manifesto
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