Il sultano Erdogan imbavaglia i «nemici»: sindaci curdi, tv e Imamoglu

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Il governo avanza con pratiche di ingegneria politica per distruggere le opposizioni. Protesta della Ue

Sono stati arrestati con l’accusa di terrorismo due dei co-sindaci del Partito democratico dei Popoli (Hdp), detenuti lo scorso venerdì. Su Yasar Akkus, sindaco di Igdir, e Casim Bundak, di Altinova, pesano capi d’accusa affatto nuovi per gli amministratori locali eletti con l’Hdp nel sud-est della Turchia: appartenenza a gruppo terroristico, il Pkk.

Come accaduto in precedenza, sono stati anche rimossi dalle loro cariche, assunte da commissari governativi scelti dal ministero dell’Interno, opera di ingegneria politica che gradualmente svuota di rappresentanza politica le comunità a maggioranza curda, elettrici con percentuali bulgare dell’Hdp.

Il 15 maggio, insieme a Bundak e Akkus, sono stati detenuti altri tre co-sindaci, Berivan Helen Isik, Baran Akgul e Ramazan Sarsilmaz, poi rilasciati su cauzione. In tutti e cinque i casi la polizia si è presentata all’alba, ha circondato le sedi dei comuni e le abitazioni degli amministratori.

«A oggi il governo turco ha nominato amministratori fiduciari per un totale di 45 municipalità gestite dall’Hdp dalle elezioni locali del 31 marzo 2019 quando l’Hdp ottenne 65 comuni – hanno commentato a caldo i co-portavoce della Commissione Esteri del partito di sinistra pro-curdo, Feleknas Uca e Hisyar Özsoy – A oggi 21 sindaci curdi eletti nel marzo 2019 rimangono dietro le sbarre e cinque in custodia. Non c’è alcuna decisione del tribunale, sono tutte misure amministrative del ministro dell’Interno».

La scorsa settimana a protestare era stata Human Rights Watch, che ha definito gli arresti «un tentativo politico di distruggere la legittimità» di persone «democraticamente elette». Non una novità: dai 102 comuni vinti dall’Hdp nel 2014 il governo turco aveva rimosso 95 sindaci, mentre finivano in prigione dieci parlamentari e migliaia di amministratori e sostenitori.

Di fatto tanti piccoli golpe locali, con cui Ankara prende possesso di comunità che non le riconoscono consenso e dove operare gradualmente con trasferimenti silenziosi, gentrificazione, espropriazioni, senza fornire servizi o progetti di sviluppo reale.

Una strategia palese che ha suscitato, lunedì, le critiche dell’Unione europea. Il portavoce dell’Alto Rappresentante agli esteri, Peter Stano, ha espresso «profonda preoccupazione» per le rimozioni «che appaiono politicamente motivate»: «Queste misure, con l’uso eccessivo di procedimenti legali contro rappresentanti eletti, sono esemplificate dal lancio di inchieste criminali contro i sindaci di Istanbul e Ankara».

Il riferimento è alla pioggia di indagini aperte in particolare contro Ekrem Imamoglu, membro dell’opposizione del Chp e vittorioso a Istanbul dopo ben due tornate elettorali (la prima era stata annullata per presunti brogli, su pressione del partito del presidente Erdogan, l’Akp): 27 inchieste solo nell’ultima settimana, riguardanti anche il mandato 2014-2019 da sindaco di Beylikduzu.

Risale a un mese fa l’apertura di un’indagine sulla gestione dell’emergenza Covid-19, dopo che Erdogan ha accusato i comuni “avversi” di voler fabbricare uno Stato parallelo distribuendo aiuti alle comunità.

Ma la guerra del “sultano” a ogni tipo di voce critica o avversario politico non si limita alle municipalità. Investe e strangola la cultura (la letale crociata contro la band Grup Yorum), svuota di significato la libertà di espressione.

Ieri il parlamentare del Chp, Ilhan Tasci, ha riportato al quotidiano Cumhuriyet la sua esperienza all’interno del Rtuk, l’ente regolatore delle emittenti turche: dal 2019 sono state emesse 36 multe per un totale di 11 milioni di lire turche (1,48 milioni di euro) contro quattro tv – Halk TvTele1FoxTv e Krt – per aver criticato il governo guidato dall’Akp. In 28 casi, spiega Tasci, si è trattato di sanzioni amministrative, in otto invece le emittenti hanno perso importanti quote pubblicitarie.

* Fonte: il manifesto



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