Il Brasile di Jair Bolsonaro in mano ai militari
Gli ambienti democratici brasiliani guardano con preoccupazione alla “occupazione militare” del Planalto, il palazzo presidenziale. L’ultima danza delle poltrone, voluta da Bolsonaro, ha portato il generale Walter Braga Netto, capo di stato maggiore dell’esercito, al ministero della Casa Civil, in sostituzione di Onyx Lorenzoni, unico civile presente al Planalto.
Si tratta del sesto cambiamento negli incarichi ministeriali in poco più di un anno e questa nomina rafforza ulteriormente la componente militare nel governo, perché chi occupa la Casa Civil svolge un ruolo di primo ministro, con compiti di coordinamento degli altri ministeri. Tutti gli incarichi di massima fiducia risultano, così, assegnati a militari, che già occupavano la Segreteria del governo, la Sicurezza istituzionale, la Segreteria generale della presidenza. Bolsonaro, inoltre, ha al suo fianco come vicepresidente il generale di riserva Hamilton Mourao. Dalle caserme arrivano anche i ministri della Difesa, delle Infrastrutture, delle Attività minerarie ed energia, dell’Amministrazione pubblica (Cgu).
Sono circa 130 i militari presenti a vari livelli e con differenti incarichi nel potere esecutivo della gestione Bolsonaro. Anche per organismi come la Funai (Fondazione nazionale dell’Indio) e l’Incra (Istituto per la riforma agraria) sono stati proposti dei militari, suscitando grandi proteste. L’ultima volta che un militare era stato insediato alla Casa Civil risale al periodo della dittatura, tra il 1974 e il 1981 con i governi di Geisel e Figueiredo. Il nuovo ministro, elogiato da Bolsonaro per il «lavoro eccezionale svolto nella sicurezza pubblica», ha comandato nel 2018 le operazioni militari a Rio de Janeiro. Un intervento voluto dall’ex presidente Temer che aveva trasferito al generale Braga Netto il compito di gestire l’ordine pubblico nella regione della città carioca. Una tragica iniziativa che ha prodotto ulteriori livelli di violenza e una sistematica violazione dei diritti umani. In quei mesi si consuma l’assassinio di Marielle Franco e del suo assistente.
Ana Rita Fonteles, docente di storia all’Università del Cearà, analizza la crescente presenza militare: «I militari non sono in politica con uguali condizioni, perché detengono le armi e hanno la possibilità di imporre le loro posizioni. Sono incapaci di affrontare questioni intorno alle quali si esprime una pluralità di opinioni e di misurarsi con convinzioni diverse». La docente fa l’esempio della presa di posizione dell’ex comandante dell’esercito Edoardo Vilas Boas, ora impegnato nella Sicurezza istituzionale, che nel novembre 2018 ammoniva il Supremo Tribunale Federale a non prendere decisioni favorevoli a Lula, «un tipo di intervento che ha fatto sì che tutta la società si sentisse minacciata».
Bolsonaro ha assegnato ai militari il compito di organizzare la burocrazia federale e punta su di essi per affrontare le questioni strategiche. In cambio ottiene il loro sostegno nell’attuazione delle politiche ultraliberiste rivendicate dai gruppi industriali e finanziari. La militarizzazione dell’istruzione, la liberalizzazione delle armi, una politica rurale di concentrazione delle terre, la fine della demarcazione dei territori indigeni, lo sfruttamento dell’Amazzonia, la privatizzazione delle aziende pubbliche: sono i temi intorno ai quali si stanno saldando le alleanze con i militari che operano sullo scenario politico brasiliano.
* Fonte: Francesco Bilotta, il manifesto
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