Il jobs act viola i diritti dei lavoratori, lo dice anche l’Europa

Il jobs act viola i diritti dei lavoratori, lo dice anche l’Europa

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Soddisfatta la Cgil, che aveva presentato il reclamo. Maurizio Landini: “Con il jobs act sono stati ridotti dei diritti, e quindi è necessario che quelle leggi sbagliate vengano cambiate”

Non è giuridicamente vincolante ma è politicamente importante la decisione del Comitato dei diritti sociali di Strasburgo in tema di jobs act. Richiama infatti il governo italiano al rispetto dell’articolo 24 della Carta sociale europea, che sancisce il diritto di ogni lavoratore ingiustamente licenziato di ricevere una tutela effettiva, e realmente dissuasiva nei confronti del datore di lavoro. La decisione, resa nota dalla Cgil, è nei fatti un altro colpo di piccone alla controriforma Poletti-Renzi, che cinque anni fa cancellò le tutele dell’articolo 18 per i nuovi assunti.
La decisione del Comitato di Strasburgo, come osserva il giuslavorista Giovanni Orlandini (vedi intervento sotto), va ad aggiungersi a quella della Consulta, che due anni fa aveva bocciato la disciplina del jobs act in tema di licenziamenti illegittimi, perché predeterminava l’indennizzo in base all’unico criterio dell’anzianità di servizio.
Ma anche dopo le modifiche del 2018, spiega ora il Comitato dei diritti sociali dell’Ue, la controriforma Poletti-Renzi rimane in contrasto con la Carta sociale europea, perché esclude a priori la possibilità di essere reintegrati, e fissa l’importo massimo dell’indennizzo al lavoratore: 36 mesi di retribuzione per gli addetti di imprese medio-grandi, e 6 mesi per quelli delle piccole imprese. E questo impedisce al giudice ogni possibilità di valutare e di riconoscere l’eventuale danno supplementare subito dal lavoratore a seguito del licenziamento.
“Questo è il risultato di un reclamo collettivo presentato dalla Cgil nel 2017, con il sostegno della Confederazione europea dei sindacati – ricordano da Corso d’Italia – e il Comitato di Strasburgo ha accolto tutte le contestazioni fatte dalla nostra Consulta giuridica. Riconoscendo che il jobs act è in contrasto con l’articolo 24 della Carta sociale europea, che sancisce il diritto alla reintegra per ogni lavoratore ingiustamente licenziato. Oppure, se questa non è concretamente praticabile, un risarcimento commisurato al danno subito, senza ‘tetti’ di legge”.
Ora il commento di un soddisfatto Maurizio Landini: “Il Comitato dice che il jobs act viola dei diritti, a partire dal fatto che se uno è licenziato ingiustamente deve avere un congruo risarcimento senza tetti, e la possibilità che il giudice possa decidere anche per il reintegro. Ora troverei utile che si tenesse conto di quello che dice l’Europa anche per quanto riguarda i vincoli sociali che ci pone, oltre a quelli economici e finanziari”.
A seguire un’osservazione di carattere generale: “Il problema non è che ha ragione la Cgil, ma che sono stati ridotti dei diritti, e che quindi è necessario che quelle leggi sbagliate vengano cambiate. Questo è un messaggio molto chiaro perché si riapra una discussione sui licenziamenti, sia individuali che collettivi, e per quello che ci riguarda si reintroduca il reintegro di fronte al licenziamenti ingiusti”.
Infine un ulteriore memento all’esecutivo di Giuseppe Conte: “’Noi abbiamo depositato in Parlamento una Carta dei diritti, che chiede di fare un nuovo Statuto dei diritti di tutti i lavoratori, anche di quelli che oggi hanno rapporti di lavoro autonomo. Ora vorremmo che a cinquanta anni dello Statuto dei lavoratori, che festeggeremo il 20 di maggio, non sia semplicemente ricordato ciò che non c’è più, ma che questa diventi l’occasione per ridare ai lavoratori e lavoratrici italiani un nuovo Statuto”.

* Fonte: Riccardo Chiari, il manifesto

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Da Strasburgo un monito ineludibile per la politica

Intervento. Una censura netta e definitiva alla più renziana delle riforme: la cancellazione dell’articolo 18 per mano del jobs act

di Giovanni Orlandini

Avviso ai sovranisti di sinistra: l’Europa può aiutare a tutelare i diritti dei lavoratori. Non c’è infatti soltanto l’Europa dei mercati e dei grigi ragionieri di Bruxelles, che chiede tagli alla spesa pubblica per far quadrare i nostri conti dissestati. C’è anche l’Europa dei diritti, che governi colpevolmente strabici di ogni colore quasi sempre fingono di non vedere. Da quest’Europa arriva una censura netta e definitiva alla più renziana delle riforme: la cancellazione dell’art. 18 per mano del Jobs Act.
L’affondo viene dal Comitato dei diritti sociali di Strasburgo, organo competente a vigilare sul rispetto della Carta sociale europea, la convenzione di diritto internazionale che fissa gli standard minimi di tutela per i lavoratori di tutti i paesi del continente. Rispondendo ad un reclamo presentato dalla Cgil, il Comitato (con una decisione adottata a settembre, ma pubblicata soltanto adesso) richiama il governo italiano al rispetto dell’art. 24 della Carta, norma che sancisce il diritto di ogni lavoratore ingiustamente licenziato di ricevere una tutela effettiva e realmente dissuasiva nei confronti del datore. Vale a dire che al lavoratore deve essere garantita la reintegrazione nel posto di lavoro oppure, se questa non è concretamente praticabile, un risarcimento commisurato al danno effettivamente subito, senza “tetti” di legge che limitino il potere del giudice nel quantificarlo. Da ciò l’inevitabile censura della legislazione italiana che esclude a priori la possibilità di essere reintegrati e fissa l’importo massimo dell’indennizzo erogabile al lavoratore: 36 mesi per i dipendenti di imprese medio-grandi, la miseria di 6 per quelli delle piccole imprese (cioè quasi la metà del totale della forza lavoro italiana).
La decisione del Comitato di Strasburgo è il secondo schiaffo alla riforma del 2015, già censurata dalla Corte costituzionale nel settembre 2018 (sentenza n. 194) perché predeterminava l’indennizzo in base all’unico e rigido criterio dell’anzianità di servizio. Secondo gli standard del diritto internazionale questo però non basta. E’ necessario ripristinare un principio di civiltà, che non vale solo per i lavoratori ma per chiunque sia danneggiato da un illecito comportamento altrui: non possono esserci limiti al diritto di ottenere il pieno ristoro del danno subito per l’ingiusta perdita del posto di lavoro.
Anni e anni a disquisire dell’anomalia italiana di un mercato del lavoro troppo rigido, di “insider” iper-tutelati a tutto svantaggio degli “outsider”, di vecchi egoisti contro giovani bamboccioni, di mercati internazionali che ci impongono di cancellare quell’assurdo fossile del passato rappresentato dall’art. 18; per poi scoprire che, per il diritto internazionale, il fossile del passato è rappresentato dal modernissimo Jobs act e che la vera anomalia italiana sono le deboli tutele assicurate agli insider, esposti al costante rischio di perdere il posto di lavoro. Ci voleva Strasburgo per ricordare a legislatori nazionali incantati da dogmi neo-liberisti che insider e outsider, giovani e vecchi, sono ormai accomunicati dalla stessa condizione di precarietà, perché la precarietà del lavoro dipende dal potere arbitrario che le scellerate riforme degli ultimi decenni hanno consegnato in mano alle imprese togliendo ai lavoratori ogni strumento per difendersi, in nome della ricattatoria logica dello scambio tra diritti e occupazione.
L’eco della decisione del Comitato europeo arriva anche oltr’Alpe, dove si attende a breve un’analoga censura per la riforma Macron, fotocopia di quella renziana. Resta da vedere adesso cosa intenderanno fare i politici nostrani. Le decisioni del Comitato di Strasburgo (al contrario delle sentenze della Corte di giustizia) non sono giuridicamente vincolanti ed al più possono essere utilizzate dai giudici nazionali per “reinterpretare” la normativa vigente. Sono però un monito ineludibile per la politica. Non si tratta neppure di fare qualcosa di sinistra, ma soltanto di fare qualcosa per rispettare il diritto internazionale: ripensare la disciplina del licenziamento non domandandosi quale sia il regime più favorevole per le imprese, ma quali siano le tutele più adeguate per i lavoratori. La via da seguire è semplice ed è il ripristino dell’art.18. Qualcuno a Roma ha intenzione di imboccarla?

*Università di Siena



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  1. radio
    radio 28 Febbraio, 2020, 15:33

    La sanità privata è piena di false partite iva!
    Sono più di 10 anni che se ne parla e niente cambia…dieci anni!

    L’iscrizione ad un albo li esclude dal riconoscimento di false partite iva??? bello l’ escamotage!
    La sanità privata è piena di Infermieri, tecnici di radiologia, fisioterapisti, tecnici di laboratorio e medici, tutti finti liberi professionisti che in realtà sono più dipendenti dei pochi assunti rimasti!
    False partite iva senza diritti e senza reale autonomia del proprio tempo, delle proprie prestazioni, né del proprio compenso e quando iniziano a non sopportare più, li sostituiscono!

    Se andassero davvero a verificare la situazione di fatto nella sanità privata scoprirebbero un mondo di false partite iva!

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