Navi umanitarie. Mediterranea ha ragione, i Pm archiviano ogni accusa
Dimostrano l’illegalità delle prassi anti-migranti che affondano le radici nel memorandum Italia-libia e toccano l’apice nei 15 mesi di governo gialloverde
La richiesta di archiviazione del procedimento penale per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e rifiuto di obbedienza a nave da guerra contro Pietro Marrone e Luca Casarini è uno di quei testi che andrebbero appesi ai muri e letti nei Tg della sera. Nelle 23 pagine rivolte al Gip, i pm Salvatore Vella e Cecilia Baravelli dimostrano attraverso stringenti argomentazioni giuridiche l’illegalità delle prassi che originano dal memorandum Italia-Libia firmato da Marco Minniti (Pd) e toccano l’apice nei 15 mesi di governo gialloverde con Matteo Salvini (Lega) agli Interni. Il casus belli è il salvataggio compiuto da Mediterranea il 18 marzo scorso.
«Non fermo proprio niente io, mi ridosso all’isola, perché qui siamo in gravi condizioni di pericolo di vita comandante», rispose Marrone all’ordine di spegnere i motori e non entrare nelle acque territoriali italiane impartito dal pattugliatore Paolini della Guardia di finanza. Quel comando era solo l’ultimo anello di una lunga catena di irregolarità messe in fila dai pm.
La prima si trova nel porto di Tripoli, si chiama nave Capri ed è un’unità della marina militare italiana che ufficialmente offre supporto logistico e addestramento alla marina e della guardia costiera libica. Secondo gli elementi probatori acquisiti dai pm, però, «sembra che la Nave Capri e quindi la Marina Militare Italiana svolgano di fatto le funzioni di centro decisionale della c. d. Guardia Costiera Libica, siano cioè il reale operativo di comando».
È da lì che partono le assunzioni di responsabilità libiche sugli eventi Sar. A volte in modo bizzarro. Come nel caso in esame, in cui ai natanti vicini al gommone in difficoltà viene ordinato di tenersi lontani di almeno 8 miglia. Dicitura che, secondo i pm, «sembra in contrasto con quanto normalmente previsto in tutto il mondo per l’attività Sar». Singolare è anche che la motovedetta libica lasci il porto in direzione dei naufraghi 88 minuti dopo aver assunto la responsabilità dell’evento, mentre in mezzo al Mediterraneo ci sono 49 persone che stanno rischiando di annegare.
I pm argomentano poi che l’intervento di Mediterranea è corretto in tutte le sue fasi. Ha fatto bene a trasbordare i potenziali naufraghi dal gommone blu, anche se quello non era in «immediato pericolo di affondamento». Le imbarcazioni di tale fattura e con un simile sovraccarico sono a rischio «sin dalla partenza dalle coste nordafricane». Soccorrerle è quindi un obbligo che include l’individuazione e il trasbordo in un Pos (Place of safety), che in nessun caso può essere in territorio libico. Lo dicono i pareri dell’Unhcr e la giurisprudenza italiana. Caso citato è quello della Vos-Thalassa, in cui il Gip di Trapani sostiene l’incompatibilità del memorandum Italia-Libia con la Convenzione di Amburgo e ne afferma la non validità e incostituzionalità (per la violazione del principio di non-refoulement).
Nel salvataggio di Mediterranea, quindi, non c’è stato alcun favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma solo l’adempimento di precisi doveri stabiliti da Convenzioni internazionali e antiche consuetudini marittime. Per quanto riguarda il rifiuto di obbedire alla nave da guerra, invece, i pm hanno dimostrato che l’ordine non aveva alcun fondamento giuridico. «Non è previsto da alcuna norma che una nave battente bandiera italiana debba avere una preventiva “autorizzazione” per fare ingresso nelle acque territoriali italiane», scrivono i Pm. Resta da capire perché il tenente colonnello Alessandro Santarelli, Comandante della stazione navale di Palermo, abbia impartito quell’alt, «facendosi schermo di un provvedimento di divieto di ingresso in acque nazionali, dato da una “Autorità Giudiziaria”, che non è mai intervenuto e che mai poteva legittimamente essere dato».
* Fonte: Giansandro Merli, il manifesto
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