Il Nord del mondo ancora non finanzia il Fondo globale per il clima
La lotta al cambiamento climatico è ferma al palo. A quasi quattro anni dalla firma dell’Accordo di Parigi, i Paesi del Nord del mondo non hanno ancora finanziato completamente il Fondo globale per il clima, che dovrebbe sostenere progetti per l’adattamento alla crisi climatica nel Sud del mondo, «e salvare milioni di vite» secondo Oxfam, che il 24 ottobre ha presentato un rapporto.
«DALL’ITALIA ancora nessun impegno» sostiene l’organizzazione non governativa, che ha lanciato l’allarme in occasione dell’apertura del summit di Parigi sul Fondo globale per il clima. In totale, il Fondo – lanciato nel 2010 – è fermo a 7,5 miliardi di euro, mentre a livello globale, spiega Oxfam, nel 2018 «gli investimenti in energia da fonti fossili come petrolio, gas e carbone hanno superato i 933 miliardi di dollari», pari a circa 100 volte la quota che i Paesi più ricchi dovrebbero destinare per supportare i processi di gestione del rischio e adattamento ai cambiamenti climatici. Ecco perché Elisa Bacciotti, direttrice della campagna di Oxfam Italia, fa «appello a tutti i Paesi più ricchi, per contribuire con la giusta quota di investimenti». E al Governo italiano chiede di non tirarsi indietro.
L’IMPEGNO È FERMO a poco più della metà di quanto Oxfam stima necessario a sostenere le oltre 300 azioni e progetti, già in cantiere, che potrebbero essere messe in campo per mitigare la crisi climatica al fianco delle comunità più vulnerabili. Il Fondo Globale per il Clima (Global Climate Fund) è il principale canale multilaterale attraverso il quale i Paesi ricchi possono sostenere quelli poveri. Negli ultimi quattro anni, oltre 110 progetti nei Paesi in via di sviluppo hanno ricevuto finanziamenti dal Fondo, per progetti come l’espansione dell’energia solare in Nigeria e Mali, il ripristino delle foreste in Honduras e la creazione di sistemi agricoli più resilienti in Bhutan e Belize. Secondo le stime di Oxfam, Canada, Austria e Paesi Bassi hanno contribuito per un terzo di quello che potrebbero; l’Australia ha dichiarato che si unirà agli Stati uniti e si rifiuterà di fornire nuovi fondi in occasione del summit di Parigi; Giappone, Italia, Svizzera, Belgio, Finlandia, Portogallo e Nuova Zelanda devono ancora annunciare il loro contributo.
Per quanto riguarda gli Stati uniti, la chiusura – e il negazionismo di fronte al cambiamento climatico – del governo Trump pare arrivato alle estrema conseguenze. Secondo il New York Times, che cita almeno tre fonti vicini al dossier, la presidenza Usa starebbe preparando una lettera per formalizzare l’uscita del Paese dall’Accordo di Parigi sul clima. Nel corso di un evento a Pittsburgh, il 23 ottobre, lo stesso presidente americano ha riconfermato per l’ennesima volta l’intenzione di ritirarsi «da un accordo terribile».
UN PORTAVOCE del dipartimento di Stato contattato dal quotidiano Usa ha ribadito che «la posizione degli Stati uniti sull’Accordo non è cambiata: gli Usa vogliono ritirarsi». In base alle regole del trattato che implementa l’Accordo, il 4 novembre è la prima data utile entro la quale l’amministrazione Trump può inviare una notifica scritta all’Onu per comunicare l’avvio del processo di ritiro, in tempo per giocare il tema durante la campagna elettorale in vista delle presidenziali del 2020.
Eppure, viviamo una successione sempre più rapida e imprevedibile di eventi climatici estremi – come uragani, siccità prolungate e alluvioni – che letteralmente mette a repentaglio la sopravvivenza di intere comunità, costringendole a migrare. Per questo il Green Climate Fund è un’ancora di salvezza per i Paesi poveri che hanno bisogno di aiuti immediati. Al governo italiano, che si sta impegnando in positive politiche per l’ambiente con il Decreto Clima, «chiediamo di non tirarsi indietro proprio in occasione di un vertice cruciale come quello in corso a Parigi» ha detto Bacciotti di Oxfam.
UN PAIO DI MESI FA, un altro rapporto dell’organizzazione faceva luce su un altro dato: nei Paesi più poveri del Pianeta ogni persona, esposta a un rischio continuo, riceve in media circa 3 dollari l’anno in aiuti utili a mettere in sicurezza sé stessi e le proprie famiglie dalla perdita di raccolti, allevamenti e tutte quelle risorse essenziali da cui ne dipende la sopravvivenza.
* Fonte: Luca Martinelli, il manifesto
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