Embargo totale contro il Venezuela, Bolton e i falchi in azione
L’AVANA. Ci ha pensato il superfalco John Bolton a mettere in chiaro il «nuovo paradigma» dell’amministrazione Trump nei confronti del governo chavista del Venezuela: «Il tempo del dialogo è finito, ora è il momento dell’azione».
Diretto e brutale come al suo solito, il responsabile della sicurezza nazionale Usa ha assicurato agli alleati latinoamericani ed europei, riuniti martedì nella capitale peruviana nel cosiddetto «Gruppo di Lima», che le ultime misure decretate dal presidente Trump «funzioneranno oggi per Venezuela e Cuba come hanno funzionato (nel passato) per Nicaragua e Panama».
Dunque basta parlare di trattative – come quelle in corso nelle Bahamas con l’appoggio della Norvegia tra il governo di Maduro e l’opposizione (Mud, Tavola dell’unità democratica) – o di discussioni «per restaurare la democrazia in Venezuela». Basta insomma rispettare, almeno formalmente, la legittimità internazionale: l’unica soluzione è cambiare con la forza il governo di Caracas.
Per essere ancor più chiari, abbattere il presidente costituzionale – «illegittimo» per gli Usa e molti alleati – Maduro e sostituirlo con Juan Guaidó, «legittimo» in quanto designato direttamente (col dito) da Washington. Sostituirlo come i marines fecero a Panama nel 1989: un’«invasione chirurgica» (Operazione giusta causa, 3mila morti) per arrestare il «dittatore» Manuel Noriega. O usando i mercenari contras per attaccare il governo sandinista, sempre negli anni Ottanta del secolo scorso.
L’ORDINE ESECUTIVO firmato da Trump lo scorso lunedì stabilisce il blocco di tutti i beni e interessi di proprietà del Venezuela negli Stati uniti e autorizza sanzioni contro «persone straniere che offrano appoggio, beni e servizi a ogni persona oggetto di sanzioni (Usa) compreso il governo del Venezuela».
In pratica un blocco totale economico, commerciale e finanziario come quello imposto da più di 50 anni a Cuba e con implicazioni internazionali. Le ultime misure infatti, secondo Bolton, costituiscono «un segnale inviato a (paesi) terzi che desiderino fare affari con il regime di Maduro»: Russia e Cina – il cui «appoggio al regime di Maduro» viene definito «intollerabile» – oltre che Turchia, India e Iran.
«Gli Stati uniti rappresentano la minaccia più perentoria delle ultime cinque decadi alla pace nella regione (sudamericana e caraibica)», titolava martedì a tutta pagina il giornale del partito comunista cubano, Granma. Parole riprese da un precedente discorso di Raúl Castro, primo segretario del Pcc, e che rappresentano e rispecchiano la reazione del governo cubano all’ordine esecutivo del presidente Trump e alle affermazioni del suo consigliere per la sicurezza nazionale.
IL PRESIDENTE Miguel Díaz-Canel ha definito le nuove misure «un furto, un’aggressione brutale (al Venezuela) che non possiamo permettere». E che rappresentano anche un attacco diretto contro la rivoluzione cubana, destinata – secondo la teoria del domino – a essere la prossima vittima una volta abbattuto il governo bolivariano di Caracas.
Per l’amministrazione Trump il Venezuela costituisce «l’epicentro di una strategia geopolitica» per rimettere in riga tutta l’America latina, secondo i dettami della ripristinata teoria Monroe.
In sostanza una sorta di reconquista del subcontinente latinoamericano, secondo il parere del professor Esteban Morales, esperto nelle relazioni Cuba-Usa. Una strategia che non cerca di nascondere la possibilità di una «scommessa militare», viste le recenti dichiarazioni di Trump rispetto a un eventuale blocco navale del Venezuela.
Di certo il «nuovo paradigma» evocato da Bolton delegittima la maggioranza dell’opposizione venezuelana, moderata e impegnata nelle trattative in corso nelle Bahamas con lo scopo di giungere, con l’accordo delle forze governative, a elezioni generali o presidenziali in tempi brevi.
E a un possibile inizio di un periodo di transizione «in un clima di riconciliazione nazionale», come scrive il giornale d’opposizione El Universal. Una soluzione quella negoziata che – secondo il quotidiano – è appoggiata dalla maggioranza (il 68%) dei venezuelani. Ma è decisamente osteggiata da Voluntad popular, la formazione politica di ultradestra di Guaidó, che non nasconde «una posizione settaria, volta a impossessarsi dell’eventuale transizione».
IL DIKTAT DI BOLTON – «basta trattative» e strangolamento letale dell’economia venezuelana – va soprattutto contro chi pretende di aiutare e rappresentare: una popolazione che già soffre una crisi drammatica, senza paragoni in America latina: un’ inflazione colossale – non vi sono dati ufficiali, quelli del Fondo monetario internazionale affermano che supera il 1.000.000% –, denutrizione, mancanza di medicinali, insicurezza, emigrazione massiccia e soprattutto una caduta nella produzione anche e soprattutto petrolifera. Buona parte della popolazione vive grazie a sussidi statali su benzina, gas, elettricità, acqua, cibo.
La logica del blocco imposto oggi dall’amministrazione Trump è la stessa che indusse la Casa bianca quasi sessant’anni fa a decretare l’embargo a Cuba: affamare la popolazione perché si ribelli contro la rivoluzione castrista.
* Fonte: Roberto Livi, IL MANIFESTO
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