Memphis, proteste per un giovane afroamericano ucciso dalla polizia
A Memphis un funzionario della Marshall Service ha sparato uccidendo un giovane uomo afroamericano, scatenando un’ondata di proteste che ha causato danni alle proprietà e lasciato uno strascico di almeno due dozzine di poliziotti feriti da lanci di pietre; gli agenti hanno usato i lacrimogeni e ferito dei manifestanti.
La Us Marshall è un’agenzia federale di polizia penitenziaria con odore di Far West. Ha il compito di provvedere al trasferimento dei detenuti e inseguire i fuggitivi in caso di evasione, presidiare i tribunali e proteggere i componenti delle corti, assicurarsi che le operazioni giudiziarie siano svolte regolarmente. Con l’Fbi la Marshall si occupa del programma federale di protezione testimoni.
Le narrative sulla dinamica degli eventi di Memphis sono discordanti: secondo gli inquirenti, il 21enne Brandon Webber, dopo essersi scagliato contro l’auto della Marshall Service, avrebbe puntato un fucile contro gli agenti, versione smentita da alcuni testimoni oculari. Secondo la famiglia, il giovane, prima di morire nel giardino davanti casa dei suoi, avrebbe ricevuto 20 colpi.
Ora il Tennessee Bureau of Investigation ha aperto un’indagine. La sua portavoce Keli McAlister ha dichiarato che la Gulf Coast Regional Fugitive Task Force dei Marshall era andata in una casa del quartiere operaio di Frayser per cercare un sospettato su cui pendevano diversi mandati di cattura; gli agenti hanno visto un uomo entrare in un’auto e uscirne armato, così hanno aperto il fuoco.
Ma dalla dichiarazione di McAlister non è chiaro quanti agenti abbiano sparato. «Rimane una situazione molto fluida», ha dichiarato McAlister al Washington Post, mentre, dal canto suo, il dipartimento di polizia di Memphis ha detto che nessuno dei loro è stato coinvolto nella sparatoria.
Antonio Parkinson, democratico alla Camera dei Rappresentanti del Tennessee, ha chiesto che vengano svolte indagini accurate: «La comunità chiede delle risposte riguardo agli incidenti di stanotte ed è necessaria la totale trasparenza nelle indagini sull’agente coinvolto nella sparatoria».
Quando è scesa la notte e la notizia dell’omicidio di Webber si è diffusa, sono cominciate le proteste con una dinamica già vista in occasioni simili: da un lato la polizia, spalla a spalla, con gli scudi antisommossa, dall’altro la folla arrabbiata.
I leader della comunità afroamericana locale e nazionale hanno chiesto spiegazioni e giustizia. Tami Sawyer, attivista democratico e progressista, candidato sindaco alle elezioni di ottobre, ha criticato la decisione di usare i gas lacrimogeni e ha chiesto al pubblico di non esprimere un giudizio «senza prima chiedere a una comunità come si sente a piangere la sua gioventù, più e più volte. Cosa possono fare le persone lasciate sole con il loro dolore e il loro trauma quando diventa troppo, quando una città li ignora, quando la loro perdita è troppo grande e non riescono più a urlare al cielo?».
La stessa domanda che negli anni è rimbalzata da Los Angeles, a Ferguson, a Baltimore, a New York. Ora Memphis, una città di circa 650mila abitanti che da decenni lotta contro povertà e criminalità e dove il giorno prima il procuratore locale ha annunciato di non volere presentare nessuna accusa contro un agente di polizia che, nell’aprile 2017, aveva ucciso un uomo, anche lui afroamericano, Terrance Deshun Carlton, sospettato di rapina.
«Ogni vita perduta dovrebbe essere importante, ogni singolo – ha scritto su Twitter Tami Sawyer, membro del consiglio di amministrazione della contea di Shelby – Quante volte sarà ok? Non può continuare a esserlo».
* Fonte: Marina Catucci, IL MANIFESTO
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