Brasile, le stragi del capitalismo estrattivo

Brasile, le stragi del capitalismo estrattivo

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La «Vale» e Bolsonaro.  E il nuovo presidente annuncia: meno controlli ambientali per rilanciare l’economia

BRASILIA. Mariana 2015, Brumadinho 2019. Un altro disastro ambientale, un’altra strage legata dall’attività mineraria, colpisce il Brasile. Sono i crimini ambientali causati da una attività mineraria selvaggia.

Il Minas Gerais è sempre stato il cuore dello sfruttamento minerario in Brasile: il nome dello Stato significa «miniere generali» e la sua economia è basata sull’attività estrattiva. Il Rio Doce ha segnato il paesaggio che attraversa, ma la valle del fiume è stata devastata dai numerosi impianti di estrazione del minerale e dalla costruzione di dighe di sbarramento. Miniere a cielo aperto sono disseminate nel bacino del fiume, con il più grande complesso per la produzione di acciaio dell’America Latina.

GREENPEACE BRASIL afferma in un comunicato: «Questo nuovo disastro è il triste risultato della lezione non compresa dai governi brasiliani e dalle società minerarie dopo la tragedia di Mariana. I minerali sono una risorsa limitata e il loro sfruttamento può avvenire solo attraverso un rigoroso regime di licenze e controlli».

Ora un’altra tragedia socio-ambientale col disastro annunciato di Brumadinho, perché la popolazione della cittadina aveva costituito un comitato e da 10 anni lanciava allarmi e messo in atto numerose azioni di protesta contro l’avanzata delle attività minerarie nella zona. Nonostante le proteste, nel dicembre scorso era stata autorizzato dal Consiglio statale di politica ambientale un ampliamento dell’88% delle due miniere di Brumadinho e Sarzedo. C’è ancora da dire che nella regione si era registrata, negli ultimi mesi, una moderata attività sismica che aveva suscitato allarme nella popolazione, con richieste di controllo delle dighe.

SECONDO IL MINISTERO dell’ambiente, il cedimento della diga, costruita nel 1976, ha prodotto la fuoriuscita di circa 15 milioni di metri cubi di fango e residui ferrosi che si sono riversati nel Rio Paraopeba, dopo avere distrutto le strutture dell’impianto minerario e ingoiato alcuni quartieri della città. Il presidente della Vale dichiara che si è trattato di un crollo «inaspettato e inspiegabile» e che nell’agosto 2018 era stato prodotto un attestato di stabilità della diga. La Vale è il principale gruppo minerario brasiliano, con dimensioni internazionali che ne fanno il maggiore produttore e maggiore esportatore mondiale di minerali di ferro. La società era stata costituita con capitale pubblico a metà del ‘900, per poi essere privatizzata nel 1997. Attualmente è costituita da capitali di banche brasiliane e capitali internazionali.

IN QUESTI DECENNI, territori, popolazioni e lavoratori hanno pagato un prezzo elevato per l’attività mineraria svolta dalla Vale in Brasile. Nel 2012 al Forum di Davos, una Associazione internazionale per la salvaguardia dell’ambiente le aveva assegnato il titolo di «peggiore multinazionale al mondo» per le attività svolte, non rispettose di ambiente, comunità diritti umani. Un tribunale brasiliano ha condannato la società mineraria a risarcire con 27 milioni di dollari le comunità indigene dei Kayapo e Xikrin, per aver contaminato con le sue attività le acque del fiume Catete, nel nord del Brasile, procurando gravi danni alla salute degli abitanti.

SIAMO ANCORA UNA VOLTA di fronte a quel «capitalismo estrattivo», dominato da imprese multinazionali, che si appropria di risorse naturali e produce devastazioni ambientali e sociali. L’attività mineraria in Brasile si è sviluppata in queste forme. L’estrattivismo non è solo rappresentato dall’attività mineraria. Coinvolge tutte le risorse naturali. L’attività mineraria è la forma più selvaggia e predatoria.

Bolsonaro al Forum di Davos aveva affermato che «il Brasile è il paese che più rispetta l’ambiente», annunciando leggi che riducono i controlli ambientali per rilanciare l’economia. Un annuncio di nuove tragedie.

* Fonte: Francesco Bilotta, IL MANIFESTO



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