Rotta di collisione in Siria per Israele e Iran, la guerra diventa più vicina
Netanyahu ribadisce diritto all’autodifesa dopo le dichiarazioni del capo dell’aviazione iraniana su preparativi in corso per la distruzione di Israele
GERUSALEMME. Sorvolavano il Libano, quasi sulla testa dei rappresentanti dei Paesi arabi che avevano appena lasciato la sede del vertice economico di Beirut, i cacciabombardieri israeliani che nella notte tra domenica e lunedì hanno lanciato un nuovo pesante attacco contro la Siria, ancora una volta nei pressi di Damasco e del suo aeroporto. Una concomitanza che in qualche modo sottolinea le divisioni profonde esistenti sulla Siria alleata dell’Iran tra i paesi arabi, alcuni dei quali a metà febbraio parteciperanno alla conferenza sulla “sicurezza” in Medio oriente che l’Amministrazione Trump sta organizzando a Varsavia per creare un’alleanza politica, economica e militare contro Tehran la cosiddetta “Nato araba”.
La pioggia di missili israeliani che, secondo fonti legate all’opposizione siriana, domenica notte si è abbattuta su postazioni e depositi di munizioni della milizia iraniana al Quds, facendo 11 morti – Damasco sostiene di aver fermato con la sua difesa antiaerea buona parte dell’attacco e altrettanto afferma la Russia alleata della Siria – è solo un anticipo di ciò che vedremo nelle prossime settimane. Sono state musica per le orecchie del premier israeliano Netanyahu le dichiarazioni fatte dal comandante dell’aviazione iraniana sulla preparazione della Repubblica islamica all’eliminazione di Israele e dei «nemici sionisti». Parole simili quelle pronunciate tante volte in questi anni da esponenti politici e militari iraniani ad evidente scopo di propaganda interna ma hanno generato una immediata ondata di solidarietà dei politici europei, italiani in testa, nei confronti di Israele. Alcuni di questi hanno parlato di «legittimo diritto all’autodifesa» per lo Stato ebraico, avallando una nota teoria: Israele bombarda in continuazione in Siria al solo scopo di difendersi.
Dall’Africa, dove ha riallacciato le relazioni con il Ciad, Netanyahu è stato perentorio: «Non possiamo ignorare le esplicite dichiarazioni di Teheran sulla sua intenzione di distruggerci così come sostenuto dal comandante dell’aviazione iraniana… non consentiremo il radicamento dell’Iran in Siria». «Chi cerca di colpirci, noi lo colpiamo. Chi minaccia di distruggerci – ha concluso – subirà le conseguenze». Israele ha compiuto centinaia di attacchi in Siria. E i raid proseguiranno intensi nel corso della campagna per le elezioni politiche del 9 aprile, durante la quale le forze di governo, con Netanyahu in testa, adotteranno un approccio persino più duro nei confronti dell’Iran e dei suoi alleati, forti del sostegno dell’Amministrazione Trump.
La mano pesante Netanyahu intende usarla in vista anche della conferenza internazionale incentrata sul Medio oriente annunciata lo scorso 11 gennaio dal segretario di Stato Usa, Michael Pompeo in un’intervista rilasciata alla Fox News. L’incontro in realtà non affronterà le varie crisi mediorientali. Il tema sarà pressoché unico: la “minaccia iraniana”. Si terrà a Varsavia il 13-14 febbraio a livello di ministri degli esteri e sono stati invitati i rappresentanti di 70 paesi, alcuni dei quali arabi, in particolare le monarchie sunnite schierate contro Tehran e alleate di Washington. Accanto a loro troverà posto Netanyahu, a rappresentare quell’alleanza dietro le quinte (e neanche più tanto) tra alcuni paesi arabi, con in testa l’Arabia saudita, e lo Stato ebraico in funzione anti-Iran di cui Netanyahu parla da almeno tre anni. Della “Nato araba”, alla quale Pompeo spera di dare vita, Israele ovviamente non può far parte in via ufficiale. Tuttavia considerati l’enorme interesse nella questione e le capacità belliche di Tel Aviv è evidente che Netanyahu può garantire, assieme a Donald Trump, la copertura militare esterna di cui i petromonarchi necessitano se e quando andranno alla guerra contro l’Iran.
Tra gli obiettivi sotto traccia della conferenza voluta dagli americani ci sono il ridimensionamento del peso di Mosca in Medio oriente – non sorprende che la Russia abbia annunciato che non vi prenderà parte – e spaccare la fragile unità dell’Unione europea sulla difesa dell’accordo internazionale sul nucleare iraniano siglato nel 2015. Accordo dal quale lo scorso maggio Trump è uscito annunciando la ripresa delle sanzioni Usa contro Tehran e i paesi che continueranno ad avere rapporti con l’Iran. Alla conferenza non sarà presente l’Alto rappresentante della politica estera, Federica Mogherini, che facendo irritare Trump e Netanyahu è stata fautrice del meccanismo per aggirare, almeno in parte, le sanzioni Usa contro Tehran. Tuttavia il fronte europeo non è blindato. La convocazione a Varsavia della conferenza è indicativa del tentativo dell’Amministrazione Usa di mettere gli europei gli uni contro gli altri, con i paesi dell’Est, più vicini di quelli occidentali alla linea di Trump e di Netanyahu di scontro duro con l’Iran.
* Fonte: Michele Giorgio, IL MANIFESTO
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