Immigrazione e sicurezza, la legge non è uguale per tutti
Ricordiamo mestamente gli 80 anni delle leggi razziali con una previsione che consente al cittadino italiano di ottenere un certificato dal proprio Comune a vista mentre uno straniero regolarmente presente da 10 anni sul territorio che contribuisce con il proprio reddito al nostro sviluppo economico e paga diligentemente le tasse potrà dover attendere anche sei mesi
Il Decreto immigrazione e sicurezza nasce male. Intanto perché già la scelta di legare l’immigrazione al più ampio tema della sicurezza induce immediatamente ad una lettura deviante di fenomeni sociali che nulla hanno a che vedere con le paure mediaticamente soffiate su tanti cittadini, meno avvertiti o più fragili e che temono per l’integrità dei propri beni, se non per la propria vita.
La questione migrazione e richiedenti asilo invece richiama immediatamente i valori che sono parte della nostra storia consacrata nella prima parte della Costituzione e nell’adesione a trattati internazionali, a direttive europee e al percorso che i Paesi fondatori dell’Unione europea, tra cui il nostro, hanno faticosamente costruito nei decenni passati.
Poi, una serie di scelte concrete che saranno fonte di un forte arretramento della qualità dei diritti e delle libertà e che invece produrranno, a mio avviso, molti molti guai. In primo piano la rottura di quella concertazione permanente tra Stato, Regioni e Comuni nata nel 2015 e 2016 che stava rafforzando una infrastruttura dell’accoglienza in maniera equa su tutto il territorio nazionale attenuando, attraverso la scelta dei piccoli numeri e lo svuotamento dei grandi centri, l’impatto sociale sui territori. Se a questo si aggiunge l’annunciato taglio dei servizi e la riduzione nei fatti dei progetti Sprar si realizza uno straordinario ritorno al passato che non avremmo più voluto conoscere. La grande illusione del blocco dell’arrivo dei migranti nell’area Schengen temo che potrà alla prima occasione essere spazzata via, costringendoci ai vecchi metodi della nomina del Commissario Straordinario e della semplificazione delle procedure amministrative.
Per il momento, con il taglio dei servizi, ripristineremo non solo le grandi concentrazioni e, sarei pronto a scommettere, soprattutto nel mio Mezzogiorno, ma costruiremo lo spazio migliore per chi fa dell’impresa sociale un’occasione finalizzata al solo perseguimento del profitto avendo magari fallito in altre opportunità d’impresa.
Rinunciare poi ad uno spazio di flessibilità quale era la protezione umanitaria (magari tipizzata in fasce meno discrezionali) che consenta alla Repubblica italiana di far emergere e rendere legali, anche solo per un periodo di tempo determinato, chi ha un regolare contratto di lavoro, non ha commesso illegalità e vive con noi rispettando le nostre regole, è contro ogni comprensibile ragionevolezza. Che dire poi della lista dei Paesi sicuri, delle procedure accelerate che verranno applicate non all’aeroporto di Orly o ad un confine terrestre ma in una penisola circondata dal mare con l’impossibilità di riportare in tempi rapidi nel Paese di origine coloro che non hanno diritto o che almeno come tali verranno dichiarati.
Infine, che dire dell’integrazione e dell’inclusione per le quali si sta provvedendo al taglio di tutti i fondi disponibili e ad un contrasto sempre più feroce alle associazioni che si sono impegnate in questo settore. L’aspettativa da parte di tutti i cittadini di vedere queste persone non più senza far nulla in attesa che scorrano le ore senza in nessun modo partecipare alla vita sociale ed economica del nostro Paese, verrà fortemente tradita.
È esattamente quello che si sta realizzando chiudendo persino quell’ultima porta dell’integrazione rappresentata dall’acquisizione della cittadinanza. Norme come quella della sua possibile revoca o il termine di 48 mesi che l’amministrazione si arroga per valutare la richiesta di concessione sono sconcertanti e saranno certamente oggetto del vaglio della Corte Costituzionale. Ma noi ricordiamo mestamente gli 80 anni delle leggi razziali con una previsione che consente al cittadino italiano di ottenere un certificato dal proprio Comune a vista mentre uno straniero regolarmente presente da 10 anni sul territorio che contribuisce con il proprio reddito al nostro sviluppo economico e paga diligentemente le tasse potrà dover attendere anche sei mesi.
* Direttore del Consiglio Italiano per i Rifugiati – Fonte: Mario Morcone, IL MANIFESTO
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