Brasile al ballottaggio, col fiato sospeso aspettando l’improbabile virada

Brasile al ballottaggio, col fiato sospeso aspettando l’improbabile virada

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Sono in tanti, tra i brasiliani che si recheranno oggi alle urne, a credere che alla fine la barbarie non avrà la meglio sulla civiltà: la virada, la svolta nelle intenzioni di voto, è in atto, ma tutto sta a vedere se sarà sufficiente. Gli ultimi sondaggi danno Bolsonaro ancora in vantaggio di 5-6 punti, ma a far sperare è il dato di São Paulo, dove Haddad ha effettuato il sorpasso sull’avversario, 51% a 49%: al primo turno era finita con il 44% dei voti a favore dell’ex capitano, contro appena il 19% del candidato del Pt.

SE IL BRASILE DEMOCRATICO trattiene il fiato, a far salire la tensione ci hanno pensato gli agenti della polizia federale e militare che il 25 e il 26 ottobre, su mandato (peraltro solo verbale) dei tribunali regionali elettorali, hanno invaso una trentina di università del paese, con l’obiettivo di sequestrare presunti materiali di propaganda a favore di Haddad e di interrogare e intimidire professori e studenti. Durissima la reazione dell’Ordine degli avvocati di Rio, che ha parlato di «un precedente preoccupante e pericoloso per la democrazia brasiliana», come pure di «un’indebita violazione dell’autonomia universitaria garantita dalla Carta costituzionale».

TANTO PIÙ CHE, NEL MIRINO della polizia, sono finiti anche manifesti e documenti non direttamente attinenti alla campagna elettorale e addirittura uno striscione in ricordo di Marielle Franco esposto nell’Università statale di Rio de Janeiro. E a rendere ancor più drammatico il quadro è stato il ritrovamento di un corpo con segni di arma da fuoco all’interno di un’automobile parcheggiata di fronte alla Facoltà di Diritto dell’Università federale di Rio de Janeiro, proprio mentre si svolgeva una lezione pubblica sulla lotta contro la dittatura.

EPPURE, NEL CASO in cui oggi il «Pinochet del Brasile» – come lo ha chiamato il leader dei senza terra João Pedro Stedile – abbia la meglio, si tratterebbe appena di un antipasto. Se l’ex capitano ha già avvisato che entrerà «con un lanciafiamme» nel Ministero dell’Educazione per cancellare ogni traccia del grande educatore Paulo Freire, il suo consulente per l’educazione Stavros Xanthopoylos ha annunciato il taglio dei fondi per le facoltà di scienze umane – le quali, a suo giudizio, in nulla contribuirebbero allo «sviluppo scientifico del paese» – e il generale Aléssio Ribeiro Souto, indicato come probabile ministro dell’educazione, ha espresso l’intenzione di operare una revisione dei programmi scolastici e delle bibliografie utilizzate per evitare che i bambini siano esposti a «ideologie e contenuti inappropriati», invitando i professori a dire la «verità» sul «regime del 1964», per esempio dando conto delle morti «da entrambi i lati».

SE IN CAMPO EDUCATIVO la situazione si annuncia drammatica, sul fronte ambientale è notte fonda. Per quanto negli ultimi giorni il candidato di estrema destra abbia in parte ridimensionato due delle proposte più contestate – l’uscita del Brasile dall’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico e la fusione dei ministeri dell’Agricoltura e dell’Ambiente – le sue dichiarazioni hanno fatto gridare a una vera «bolsocalipse» ambientale.

Gli obiettivi di Bolsonaro sono chiari: indiscriminato sfruttamento dell’Amazzonia e sostegno incondizionato all’agrobusiness, allentando controlli e multe e trasformando aree protette e terre indigene in pascoli per l’allevamento del bestiame, latifondi di soia e miniere.

UN PROGRAMMA riassunto dalla dichiarazione del presidente della Unione democratica ruralista (una sorta di braccio armato dei latifondisti) Nabhan Garcia, uno dei nomi più quotati per occupare la carica di ministro dell’Agricoltura: «Se un qualunque produttore rurale vuole comprare mille ettari di terra, non può disboscare perché loro parlano di “deforestazione zero”? È un’assurdità». A farne le spese saranno i popoli indigeni – «Nemmeno un centimetro quadrato in più agli indios», ha garantito Bolsonaro – e i senza terra, che il candidato neofascista si è già impegnato a trattare come terroristi. Oltre naturalmente all’Amazzonia, il cui destino, se la deforestazione oltrepasserà il 25% (oggi è al 19%), sarà, secondo gli scienziati, quello di trasformarsi in una savana.

* Fonte: Claudia Fanti, IL MANIFESTO



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