Modello Riace. Come nasce il miracolo sociale del profondo sud

Modello Riace. Come nasce il miracolo sociale del profondo sud

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Immigrazione . Non si può accettare che nella Locride dove impera la borghesia criminale una persona come il sindaco di Riace possa finire agli arresti domiciliari per aver promosso matrimoni tra italiani e stranieri o per aver affidato a una cooperativa sociale la raccolta differenziata con il mulo!

Per chi ha conosciuto Domenico Lucano fin dal 1998, ha visto gli sforzi fatti da lui e dai giovani volontari dell’associazione “Città futura”, ha toccato con mano la sua grande umanità, la sua totale dedizione alla causa, la sua trasparenza e onestà.

Non si può accettare che nella Locride dove impera la borghesia criminale una persona come il sindaco di Riace possa finire agli arresti domiciliari per aver promosso matrimoni tra italiani e stranieri o per aver affidato a una cooperativa sociale la raccolta differenziata con il mulo!

Per chi ha visto un paese abitato da pochi anziani, senza una scuola, un bar, un luogo dove riunirsi, un paese triste e moribondo, rinascere passo dopo passo anche grazie alla solidarietà di tante associazioni, singoli cittadini, gruppi di volontariato, non può accettare la fine di questo sogno divenuto realtà. Perché Riace è ormai un simbolo vivente di come si possa rovesciare l’approccio al fenomeno migratorio, di come sia possibile non solo la convivenza pacifica (in vent’anni non c’è stato un reato rilevante o un conflitto tra la popolazione locale e i rifugiati), ma la resurrezione di un paese moribondo grazie al lavoro, all’energia e la volontà dei giovani migranti.

Al di là del valore umano di Domenico Lucano, della sua opera instancabile, del suo carisma, Riace rappresenta un miracolo sociale: dalla iniziale sinergia tra una Ong (il Cric) , Banca Etica, la comunità anarchica di Longo Mai, al commercio equo, all’associazione per la pace, al turismo solidale praticato da tanti, italiani e stranieri, all’opera determinante di collante nazionale svolta da ReCoSol (la Rete dei Comuni Solidali), ad artisti e giornalisti, in tanti hanno dato un contributo convinto perché hanno visto che “un altro mondo è concretamente possibile”. L’ha visto un grande regista come Wim Wenders che nel ventennale della caduta del muro di Berlino ha dichiarato di fronte a dieci Nobel per la pace che “la civiltà e il futuro dell’umanità passano da luoghi come Riace, in Calabria”.

L’hanno imitato in tanti il modello Riace: da Sant’Alessio in Aspromonte a Acquaformosa, da Calanna a Gioiosa Jonica, ci sono decine di sindaci e amministrazioni locali, non solo in Calabria, che in questi anni hanno seguito l’esempio di Riace e hanno visto progressivamente rinascere i loro Comuni abbandonati.

Ed è questa la strada che bisogna seguire per la rinascita del nostro paese. Quasi tutto l’Appennino è ormai in via di desertificazione, di abbandono di terre e un grande patrimonio abitativo che va in malora, un abbandono che si traduce in frane, incendi, alluvioni, proprio nel tempo in cui c’è bisogno sempre più di terre coltivabili, non inquinate, per una produzione alimentare di qualità. Per questo abbiamo assoluto bisogno dei migranti, e dovremmo ringraziarli se ancora abbiamo una pastorizia, o produciamo il famoso parmigiano reggiano o il prosciutto di Parma. Ma, dobbiamo lottare e impegnarci per toglierli dalla condizione di semischiavitù in cui versano nella piana di Rosarno come a Foggia, per restituirgli quella dignità di essere umani che non ci faccia vergognare di essere italiani.

Per tutto questo l’attuale governo, senza se e senza ma (ma i 5S…) che punta a chiudere gli Sprar, a mandare a casa 40.000 giovani italiani che lavoravano a fianco dei migranti nei centri di seconda accoglienza, che mira a trasformare in clandestini e marginali la maggioranza di coloro che sono arrivati in Italia negli ultimi anni, deve essere combattuto senza paura. La reazione, forte e convinta, di una moltitudine all’arresto del sindaco di Riace ci dice che c’è ancora una parte del nostro paese che non si è arresa alla disumanità, che non è caduta nella globalizzazione dell’indifferenza, come l’ha definita il “compagno” Francesco.

* Fonte: Tonino Perna, IL MANIFESTO



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