Ancora bombe italiane inviate dalla Sardegna per la guerra in Yemen
Più di 10 milioni di euro. Per l’esattezza 10.453.696 euro di «armi e munizionamento» esportate lo scorso giugno dalla Sardegna, destinazione Arabia Saudita. È la laconica cifra apparsa nel lungo elenco del database dell’Istat che riporta le esportazioni mensili di ogni prodotto dall’Italia nel mondo. Un dato come un altro, si direbbe. Se non fosse che il primo giugno scorso è entrato in carica il governo Conte, nato dal contratto tra Lega e Movimento 5 Stelle. Gli stessi Cinque Stelle che negli anni scorsi avevano accusato Renzi e Gentiloni di avere «le mani sporche di sangue» per le continue forniture di bombe aeree all’Arabia Saudita.
I micidiali ordigni della serie MK da 500 a 2000 libbre, prodotti a Domusnovas in Sardegna dall’azienda tedesca Rwm Italia, vengono utilizzati dalla Royal Saudi Air Force per bombardare indiscriminatamente lo Yemen. Dal database dell’Istat non è possibile sapere il numero di ordigni esportati a giugno, ma una cosa è certa: sono dello stesso tipo dei quasi 26 milioni spediti lo scorso aprile quando il governo Gentiloni era in carica solo per gli affari correnti. Un bel biglietto da visita per il sedicente il «governo del cambiamento», non c’è che dire.
Forniture già autorizzate in precedenza sulle quali sarebbe stato difficile intervenire? Può darsi. Ma non aspettiamoci che i sauditi vengano a proporre all’Italia nuovi contratti per bombe aeree. Innanzitutto perché il governo Renzi nel 2016 ne ha autorizzato la fornitura per 411 milioni di euro, cioè per 19.675 ordigni. Si tratta di un record storico nell’export di munizionamento militare e l’azienda Rwm non è certo in grado di realizzarlo in un solo anno: è infatti di un contratto pluriennale. Ma soprattutto perché nel frattempo la multinazionale tedesca, attraverso la sua controllata sudafricana Rheinmetall Denel Munition (Rdm) ha aperto, in joint-venture con la Samic, a sud di Riyad uno stabilimento per la produzione non solo di bombe da artiglieria, ma anche di bombe aeree da 500 a 2.000 libbre. Le stesse che la Rheinmetall produce a Domusnovas attraverso la sua controllata.
Ecco perché se il leader del M5S, Luigi Di Maio vuole essere credibile quando annuncia, come ha fatto nei giorni scorsi, di non voler continuare ad esportare armi verso Paesi in guerra, dovrebbe innanzitutto chiarire se intende sospendere i contratti di forniture già autorizzati dai governi precedenti o se si riferisce solo a nuovi futuri contratti. Se, come ha dichiarato ad Avvenire il capogruppo M5S in commissione Esteri, senatore Stefano Lucidi, il Movimento ritiene davvero che «i precedenti governi abbiano violato la legge 185 del 1990 sull’export bellico e ignorato ben tre risoluzioni del Parlamento europeo continuando a vedere bombe all’Arabia Saudita accusata da Onu e Ue di crimini di guerra in Yemen», la prima cosa da fare è sospendere le forniture di bombe a Riyad. Il governo spagnolo nei giorni scorsi aveva annunciato una decisione in questa direzione, per poi fare un clamoroso dietrofront.
Sospendere una fornitura non è indolore. Non tanto per le possibili ritorsioni legali da parte dell’azienda. Soprattutto perché può mettere a rischio nuovi e ben più lucrosi contatti nel settore degli armamenti. Non a caso i governi dei Paesi più autoritari del mondo da alcuni anni chiedono che i contratti militari più rilevanti – che devono sempre essere autorizzati dai governi dei Paesi produttori – vengano stipulati come contratti G2G, cioè direttamente tra governi. Una modalità che tende a favorire soprattutto l’acquirente se il produttore non è in grado di mettere clausole, non solo di tipo economico ma di rispetto dei trattati internazionali in materia di armamenti, che possano permettergli di sospendere o rescindere quel contratto.
C’è però un altro aspetto. Se il governo Conte decidesse anche solo di non autorizzare nuovi contratti con i sauditi sarebbe già un passo rilevante. Perché li bloccherebbe non solo per il nostro Paese ma per tutti i Paesi dell’Ue, ai sensi della Posizione comune 944 del 2008.
* Fonte: Giorgio Beretta IL MANIFESTO
*Osservatorio permanente sulle armi leggere e sulle politiche di sicurezza e difesa di Brescia
Related Articles
Navy Yard, la lunga scia di sangue
STATI UNITI/ARMI
La lista è lunga, la scia di sangue dolorosa: la sparatoria di lunedì nel Navy Yard di Washington, che ha fatto 13 vittime, è solo l’ultimo episodio di una serie iniziata nel 1994, quando Francisco Duran sparò contro la Casa Bianca, fortunatamente senza danni. Quattro anni dopo, un attacco contro il Congresso condotto da un certo Russell Weston fa due morti tra i poliziotti.
Brussels and sealed Europe
The keyword after the jihadist massacre that hit Brussels, causing 31 dead and 230 wounded, is: “sealing”
“Quegli aerei costano il doppio”. I comitati “NO F-35” alla Camera