Hanno detto che la lobby delle armi non conta niente e che, dunque, Repubblica si è inventata tutto. Hanno anche detto che, nonostante gli impegni presi pubblicamente dal ministro Salvini in campagna elettorale con i rappresentanti dei possessori di pistole e fucili, ” la Lega non fa accordi con lobby o cooperative” ( Jacopo Morrone, sottosegretario alla Giustizia, 16 luglio). Anzi, che la lobby “neanche esiste” ( Antonio Bana, presidente Assoarmieri, 17 luglio).
Invece, la lobby delle armi è viva. E lotta insieme a loro. Basta dare un’occhiata al sito del Comitato Direttiva 477. Prima, però, occorre sapere alcune cose di questa associazione. Nata nel 2015, in soli tre anni si è affermata come il punto di incontro e rappresentanza degli interessi di tutti soggetti della filiera delle armi, dal produttore al consumatore. Oggi può vantare collaborazioni internazionali (“sia pure embrionali”) con la potentissima National Rifle Association, la lobby americana, e con l’europea Firearms United. Mentre in Italia lavora con le associazioni confindustriali dei fabbricanti di pistole e fucili. Il suo principale obbiettivo è quello di monitorare il recepimento delle nuove norme europee sulla circolazione delle armi affinché questo risulti il meno restrittivo possibile. Prima di finire sul tavolo del governo per l’approvazione finale, lo schema di recepimento della direttiva ha dovuto passare il vaglio di ben quattro commissioni parlamentari; una fase cruciale, che si è conclusa pochi giorni fa con splendidi risultati ( per la lobby). E proprio grazie all’attivismo del Comitato. Che dunque, il 31 luglio, è in vena di festeggiamenti.
” La nostra mobilitazione — scrive — ha permesso che oggi un’associazione di detentori di armi rappresenti stabilmente presso la politica e tutte le istituzioni, l’intera categoria e, soprattutto, che siano state accolte delle proposte e vi sia stata una incidenza netta sul processo di formazione delle leggi”.
Incidenza netta, dunque. Ma non solo: ” Non si era mai visto prima che il Ministero dell’Interno acconsentisse a dialogare con chi rappresenta i cittadini detentori di armi e men che mai che trasponesse in atti normativi le loro proposte”.
Del resto questo era esattamente il senso del patto assunto per iscritto da Salvini, l’ 11 febbraio, all’Hit Show di Vicenza, e di cui Repubblica ha svelato i contenuti. In cambio dell’appoggio della lobby alle urne, l’allora candidato si è impegnato a “coinvolgere il Comitato e le altre associazioni di comparto ogni qual volta siano in discussione provvedimenti” su pistole e fucili. Detto, fatto. E così adesso il Comitato e gli organi di stampa prossimi alla lobby possono festeggiare la loro incidenza netta, elencando, ad uso dei loro lettori (ed elettori) i risultati ottenuti. Tra questi: “1) Divieto assoluto di retroattività delle nuove norme; 2) Aumento da 6 a 12 delle armi sportive detenibili e possibilità di trasporto e uso delle armi in collezione; 3) Eliminazione della discrezionalità dei questori nell’imporre limitazioni su tipologia e quantità di munizioni acquistabili durante il periodo di validità delle licenze di porto o trasporto; 4) Aumento a 10 per le armi lunghe e a 20 per le armi corte, dei colpi consentiti nei caricatori, oggi limitati rispettivamente a 5 e 15; 5) Estensione della categoria di “tiratori sportivi” — prima riservata agli iscritti alle Federazioni del Coni — anche agli iscritti alle sezioni del Tiro a Segno Nazionale, agli appartenenti alle associazioni dilettantistiche affiliate al Coni, nonché agli iscritti ai campi di tiro e ai poligoni privati…”. In tutto si contano otto concessioni, chiamiamole pure regali, alla lobby. Come, l’ultima, quella che equipara, sotto la generica categoria di “tiratori sportivi”, gli atleti della Federazione agli ” sparatori della domenica”, i campioni olimpici ai frequentatori di poligoni privati rimediati nelle cave di tufo ( strutture di cui in Italia manca persino un censimento ufficiale e che comprendono sia impianti seri sia autentiche bocciofile a mano armata).
Grazie a questo cavillo, tutti avranno la possibilità di comprare, trasportare e usare armi demilitarizzate o con caricatore di capacità superiore di 10 colpi.
Si capisce così la soddisfazione della lobby che, infatti, a partita chiusa, ha voluto mostrare i muscoli, incontrandosi a Roma, sempre il 31 luglio scorso con l’obbiettivo — reso pubblico — di ” rafforzare il coordinamento”. Al summit ha partecipato una dozzina tra associazioni e federazioni, tra cui le ricchissime l’Anpam ( Associazione nazionale produttori armi e munizioni), Conarmi e Assoarmieri.
“Il tavolo di lavoro — recita il comunicato finale — ringrazia i parlamentari che hanno mostrato impegno, sensibilità e interesse nel considerare la questione in una prospettiva tecnica e non ideologica (…) L’auspicio è che il Ministero competente (Salvini, ndr), si attenga alle indicazioni delle commissioni parlamentari, evitando norme più restrittive rispetto a quelle europee”. Infine, la chiosa, a metà tra la promessa e l’indicazione strategica: “Non lasceremo cadere l’attenzione verso le attività di Parlamento, Governo e Amministrazione…”. Insomma, il lavoro della lobby delle armi, quella che ” non conta niente” e che “neanche esiste”, è solo all’inizio.
* Fonte: MARCO MENSURATI e FABIO TONACCI, LA REPUBBLICA
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