Elezioni in Pakistan: voto «islamizzato» e senza divisa
Da lunedì scorso a mezzanotte la campagna elettorale per le elezioni che si tengono di oggi nel Paese dei puri è entrata nella sua fase di silenzio.
Un silenzio rotto dalla paura per l’ondata di sangue che alla vigilia della consultazione si è abbattuta sul Pakistan: trame oscure tra partiti e candidati, boicottaggi, attentati anonimi e l’irromprere sulla scena elettorale dello Stato islamico e dei talebani pachistani.
Oltre 370mila soldati sono stati mobilitati per garantire il voto nelle varie circoscrizioni e negli 85mila seggi elettorali. I morti sono già stati a decine con quasi 150 persone in un solo colpo a metà luglio in Belucistan.
Ma la notizia vera riguarda un passaggio di consegne tra governi che per la prima volta avverrà tra uomini che non portano la divisa. La lotta è dura tra i tantissimi partiti e partitini (110) e i tantissimi candidati (3.765) e il risultato è incerto con l’interrogativo di brogli e intimidazioni, ma il voto è un fatto rilevante che aiuta un Paese a lungo sotto tutela militare a uscire dal tunnel di una fosca tradizione. Oltre 105 milioni i pachistani delle quattro grandi province chiamati alle urne in Sindh, Punjab, Khyber Pakhtunkhwa e Belucistan.
In palio ci sono i 342 seggi dell’Assemblea nazionale (60 riservati alle donne e 10 ai non musulmani): Belucistan, la provincia sudoccidentale al confine con Iran e Afghanistan, 17 seggi; Khyber Pakhtunkhwa, l’ex provincia della Frontiera che ora include anche le aree tribali al confine con l’Afghanistan, 43 seggi; Punjab, la provincia più industrializzata e più ricca che fu divisa in due tra India e Pakistan dalla Partition del Raj britannico nel 1947, 183 seggi; il Sindh agricolo e feudo della famiglia Bhutto con la grande città-porto di Karachi, 75 seggi; le Federally Administered Tribal Areas, da poco incluse nella Khyber Pakhtunkwa, 12 seggi; Islamabad, capitale federale, due seggi (i territori del Nord Gilgit/Baltista, con un sistema a parte, non partecipano al voto).
Il trend percepito in campagna elettorale assegna lo scontro finale a due partiti: il più forte appare ancora la Lega musulmana di Nawaz Sharif, l’ex premier che però è stato arrestato e non può correre. Il suo partito è ben piazzato un po’ ovunque ma la sua arena è il Punjab dove ha pochi rivali.
Nel Khyber primeggia invece il partito dell’ex cricketer e bon vivant Imran Khan che aspira al premierato ma che si dovrà forse accontentare del secondo posto. Può essere una sorpresa e conta molto sul voto giovanile e sulla disillusione tra chi aveva votato per la Lega. Gli fanno (poca) concorrenza alcuni partiti islamisti e la Lega Awami, partito secolarista e progressita.
In Belucistan si è fatto strada un nuovo partito, il Balochistan Awami Party, che – nonostante la strage di qualche settimana fa dopo un attentato suicida firmato Stato islamico – sembra il meglio posizionato in una provincia attraversata da sussulti autonomisti e persino secessionisti.
Nel Sindh il Ppp della famiglia Bhutto che candida il figlio di Benazir potrebbe migliorare la sua posizione guadagnando voti a Karachi (che vale 21 scranni) dove il potente partito Mohajir Qaumi Movement, organismo di riferimento dei mohajir (i vecchi musulmani che migrarono dall’India nel 1947), ha sofferto in questi anni crescenti debacle, dissanguato da scissioni interne e conflitti con le forze paramilitari.
Infine c’è la sfida dei partiti islamisti: non solo la Muttahida Majlis-e-Amal, una risorta coalizione di organizzazioni islamiste di destra non particolarmente estremiste e attiva nel Khyber, ma tutta una serie di organizzazioni di contorno, alcune delle quali assai controverse – e almeno due considerate bracci politici dei gruppi armati fuorilegge Lashkar-e-Taiba e Lashkar-e-Jhangvi – e che hanno ovviamente fatto spingere l’acceleratore sull’islam anche ai partiti di ispirazione più laica, influenzandone la campagna elettorale.
Secondo un’inchiesta del quotidiano Daily Star di Dacca, Bangladesh (altro Paese che si prepara alle elezioni in un clima molto teso), i partiti ultra-religiosi hanno raggruppato circa 1.500 candidati anche con campagne elettorali con slogan come «morte ai blasfemi» e con una retorica che ha finito per farsi strada anche nei comizi degli avversari «laici», termine che in Pakistan non ha in realtà molto senso.
Tra questi anche i candidati di Allah-o-Akbar Tehreek, proiezione della Milli Muslim League, partito al bando in Pakistan per i legami con Hafiz Saeed (ai domiciliari), uno dei sospetti terroristi più ricercati negli Usa e in India, accusato delle stragi di Mumbai del 2008. I «suoi» candidati hanno fatto campagna sfoggiando con tranquillità magliette col volto di Hafiz.
Preoccupazioni sulla trasparenza sono state espresse dalla Human Rights Commission of Pakistan e da altri organismi nazionali e saranno seguite da missioni di osservatori internazionali tra cui Free and Fair Elections Network, Ue e Commonwealth.
Ma ci sono anche buone notizie: per la prima volta i candidati possono decidere il loro genere e, grazie a una legge approvata dal Parlamento a maggio, un uomo che si identifica come donna può apparire come tale alle elezioni. Forse non saranno eletti ma la novità che sdogana i transessuali è comunque un segnale.
* Fonte: Emanuele Giordana, IL MANIFESTO
photo: By Stephan Röhl per Heinrich Böll Stiftung [CC BY-SA 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by-sa/2.0)], via Wikimedia Commons
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