by Iain Chambers * | 22 Novembre 2024 10:31
Quando fu inventato come categoria linguistica e razziale europea, il termine semita indicava un’identità quasi intercambiabile tra ebreo e arabo. Erano tutti trattati come orientali
Ora che l’accusa di antisemitismo è divenuta una forma diffusa di violenza politica che censura il nostro linguaggio, potrebbe essere utile suggerire come il sionismo stesso sia in realtà antisemita. In quanto dispositivo coloniale occidentale, il sionismo espone il suo antisemitismo in modo più evidente nell’insistere sulla separazione dalle molteplici culture del suo passato ebraico, comprese le loro varie sistemazioni nell’Islam e nel mondo arabo. Si presenta solo in termini bianchi e occidentali, il che significa storicamente e politicamente per il resto del mondo, coloniale.
Essere ebreo oggi è sempre più limitato dalle richieste aggressive del sionismo e dell’attuale Stato ebraico (che comprende l’appropriazione, seguita dalla cancellazione, della cultura palestinese). Anche l’indagine superficiale del termine rivela che il sionismo non è nato come progetto religioso (anche se oggi può adottare tatticamente questo linguaggio). È un’ideologia occidentale, un progetto politico moderno, profondamente radicato nelle teorie ottocentesche del colonialismo, della razza e della superiorità occidentale, che i suoi fondatori hanno riconosciuto senza esitazione.
AL DI LÀ DI QUALSIASI INTRECCIO teologico, il sionismo e il cristianesimo hanno sempre formato un’alleanza fondamentalmente anti-araba che oggi è più evidente che mai. A prescindere dalle argomentazioni teologiche ed etniche, Israele si unisce all’Occidente e al suo dichiarato “laicismo” nella continua crociata contro l’Islam. Naturalmente, l’onestà storica suggerisce che questa laicità è un altro nome per una formazione cristiana che esercita l’egemonia globale mentre sostiene ansiosamente le distinzioni coloniali di razza e orientalismo come disposizioni di potere, imponendo agli altri di portare la questione religiosa.
Quando fu inventato come categoria linguistica e razziale europea, il termine semita indicava un’identità quasi intercambiabile tra ebreo e arabo. Erano trattati come orientali indistinguibili. Con il successivo assorbimento del sionismo nella politica occidentale, nella sua teleologia della storia, del progresso, sostenuta dal razzismo coloniale, l’ambiguo concetto di semita (inizialmente definito contro l’“ariano”) è stato ristretto all’identificazione ebraica. In questo modo l’arabo è diventato l’altro razzializzato ed esteriorizzato, tanto che il palestinese in esilio Edward Said ha provocatoriamente affermato di essere l’ultimo intellettuale ebreo. Se l’arabo è il nemico esterno, il nemico interno, un tempo ebraico, è ora alleato, attraverso un’ipotetica cultura giudaico-cristiana, alla relazione antagonista dell’Occidente con l’Islam.
QUESTO HA PORTATO a un sostegno quasi incondizionato dell’Occidente al progetto coloniale del sionismo (a sua volta spesso incoraggiato da un antisemitismo che desiderava che gli ebrei fossero spediti colonialmente altrove: Lord Balfour). Come ha recentemente suggerito Didier Fassin, questo diritto di continuare a colonizzare rappresenta soprattutto un’espiazione per procura dell’Olocausto. Questa è essenzialmente la storia del rapporto dell’Occidente con Israele dalla sua fondazione nel 1948. In particolare, trasferisce sistematicamente l’antisemitismo esistente in Europa, spostando le sue energie razziste su arabi, islam e palestinesi e su tutte le critiche al loro trattamento da parte di Israele.
La portata banale di questa storia si estende per secoli indietro fino alle Crociate. Il critico Gil Anidjar ha notato sardonicamente lo stupore dell’Europa per l’ascesa dell’Islam, che non sarebbe mai dovuta avvenire. Come ha potuto il cristianesimo essere succeduto da una religione ancora più popolare? Il cristianesimo avrebbe dovuto concludere la narrazione religiosa in modo trionfale, non trovarsi tra il suo antecedente e il suo successore: Giudaismo e Islam.
Solo con le violente imposizioni del colonialismo moderno il cristianesimo riconquista all’Islam la corona di religione ufficialmente più diffusa al mondo.
OGGI, IL CONSENSO PUBBLICO e istituzionale che è stato costruito contro i palestinesi è davvero sorprendente. Esso sottende l’avallo occidentale del genocidio a Gaza. L’appoggio incondizionato a Israele, orientato attraverso l’economia morale e metafisica dell’Olocausto, ha trasformato quest’ultimo in una fede incontestabile, che divide la civiltà dalla barbarie.
È come se solo in quel momento l’Occidente avesse fallito con sé stesso e non dovesse mai più farlo. In questo modo, viene cancellata la lunga storia dell’Europa che ha perseguito la conquista coloniale e la pulizia etnica di ebrei e arabi e, in particolare, la matrice coloniale del genocidio che ha portato alla Shoah.
SI LASCIA ALL’EUROPA il compito di occuparsi solo della riparazione morale e non delle intricate complessità e delle più profonde responsabilità politiche ed etiche che si celano dietro il paravento di questa espiazione pubblica: le violente eredità coloniali di razzismo e sterminio perseguite in ogni angolo del pianeta.
È ormai chiaro che Gaza, nelle sue dimensioni genocidarie, storiche, politiche ed ecologiche che si intersecano, è centrale allo scenario del crollo e disastro planetario. Eppure, l’Occidente sceglie di chiudere le orecchie e di guardare altrove, proprio per evitare di fissare l’abisso che ha creato e nel quale sta cadendo.
* Fonte/autore: Iain Chambers, il manifesto[1]
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