Francia. Poliziotti sotto processo, ma in manette in aula c’è la loro vittima

by Filippo Ortona * | 5 Novembre 2024 9:35

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Nordine A. nel tribunale di Bobigny viene condotto ammanettato e scortato, mentre i due agenti imputati di avergli sparato addosso e di aver fatto perdere il bambino alla fidanzata sono a piede libero. Solo uno dei casi (in aumento) di violenza della polizia – e di impunità

 

PARIGI. Il 3 ottobre scorso Nordine A. è entrato nella sala del tribunale di Bobigny, a nord di Parigi, ammanettato e scortato da due agenti di polizia. Non lo si sarebbe detto, ma nel processo di quel giorno era lui la vittima: gli imputati, a piede libero, sedevano un metro alla sua destra; due uomini, uno alto e grasso, Jonathan F., e uno basso e magrolino, Valentin L., entrambi poliziotti.

Sono due membri di una Brigade anti criminalité, o Bac, delle unità particolarmente violente in seno ai commissariati francesi. Nella notte del 15 agosto 2021, a Stains, nella periferia parigina, i due agenti hanno sparato otto colpi di pistola in meno di sette secondi sulla macchina guidata da Nordine, nella quale si trovava anche la sua compagna dell’epoca, Merryl B., anche lei presente in aula.

NELLE IMMAGINI di un video filmato con il telefono da un testimone, si vede la macchina dei poliziotti in borghese che blocca quella di Nordine, stringendola sul marciapiede. Valentin L., vestito con una maglietta bianca, è a cavalcioni sul cofano della Citroen di Nordine. La scena è concitata, violenta: Valentin L. si issa nella finestra anteriore dal lato di Nordine. Nordine, in preda al panico, inserisce la marcia indietro e prova a scappare. Valentin L. si aggrappa alla Citroen, con le gambe dentro l’abitacolo mentre la macchina prende velocità.

Dopo un paio di metri, la macchina di Nordine si ferma, sfiorando un’altra vettura. Jonathan F. sfodera la pistola e spara a bruciapelo su Nordine, rischiando di colpire il proprio collega. Quest’ultimo, mentre con una mano si tiene aggrappato alla macchina, con l’altra estrae l’arma e spara tre colpi su Nordine. La sua macchina si ferma, fa un piccolo sobbalzo in avanti. Gli agenti sparano ancora.

Nessuno dei due – come essi stessi hanno ammesso in tribunale – portava alcun segno esteriore che li segnalasse come membri di forze dell’ordine. Niente divisa, niente bracciale, niente paletta; anche la macchina – come è opportuno per i membri delle Bac – era senza insegne. «Non sapevo se erano dei voyous (“criminali”) o altro – ha detto Nordine al tribunale – Ho solo visto degli energumeni armati, ho avuto paura».

Merryl era seduta dietro, dal lato passeggero. Incinta. Ferita alla schiena, perderà il bambino. La si vede, negli ultimi frame di un altro video, districarsi fuori dalla macchina, arrancare sul marciapiede, infine posarsi a terra, sotto lo sguardo indifferente di Jonathan F. Secondo le perizie, è lui che ha esploso il colpo che l’ha ferita.

Quando la presidente del tribunale legge la lista delle ferite subite da Nordine, ci vogliono diversi minuti per giungere alla fine del documento. «Porto ancora dei frammenti di munizione nel corpo», dice. Zoppica dalla gamba sinistra. Gli mancano «dieci centimetri dal braccio sinistro», spiega ai giudici, tendendo gli arti alla Corte.

«SIAMO dei sopravvissuti. Non dovremmo essere qua, e invece eccoci a testimoniare», dice Merryl. La sua non è una formula retorica, ma una realtà statistica. Dal 2017 a oggi, il numero di persone morte durante un refus d’obtémperer – cioè, quando l’autista non si ferma a un controllo di polizia – è praticamente triplicato in Francia.

Secondo i dati compilati dal giornale Basta!, tra il 2017 e il 2023 sono state uccise dai poliziotti in questo modo almeno 26 persone, contro 17 nei quindici anni precedenti. Tale esplosione del numero di vittime a partire del 2017 è dovuta a una legge approvata nel febbraio di quell’anno alla fine della presidenza di François Hollande.

Sotto l’egida del primo ministro (ex socialista) dell’epoca, Bernard Cazeneuve, venne approvato un alleggerimento delle norme che regolano la «legittima difesa» delle forze dell’ordine. Da allora i poliziotti francesi sono autorizzati «a fare utilizzo delle proprie armi» qualora non ci fossero altri modi per «immobilizzare» dei veicoli che rifiutano di fermarsi ai controlli e «sono suscettibili di procurare, nella loro fuga, danni alla propria vita a quella altrui», come recita l’articolo 435-1 del Code de sécurité intérieure.

La riforma di quell’articolo – che organizzazioni come la Ligue des droits de l’homme hanno definito permis de tuer, «permesso di uccidere» – è stato il risultato della pressione esercitata da una mobilitazione spontanea degli agenti. Il movimento dei «poliziotti in collera», com’era chiamato, ha sorpreso persino i sindacati della professione. Uno dei portavoce era presente nell’aula di Bobigny il 3 ottobre: Laurent-Franck Lienard, avvocato che assicura la difesa dei due agenti accusati di aver quasi ammazzato Nordine e Merryl.

Se la riforma della legittima difesa spiega almeno in parte casi come quello di Nahel la cui morte, nel 2023, diede fuoco alle banlieue francesi, più difficile risulta la comprensione delle gesta compiute da Valentin L. e Jonathan F. che, tra assalto alla vettura di Nordine, mancanza di segni di riconoscimento e pura violenza, si sono comportati «come dei cowboy», dice l’avvocato di Merryl.

«IL FERMO realizzato dai due agenti è effettivamente incomprensibile, se ci si attiene ai regolamenti», dice Fabien Jobard, sociologo del Cnrs e uno dei maggiori esperti di polizia – e in particolare delle Bac – in Francia. Anche lui è stato chiamato a testimoniare. A prima vista assurdo, l’intervento degli agenti è per lui del tutto intelligibile «se si pensa a cosa rappresentano le Bac nei commissariati», spiega il sociologo al tribunale. Le Bac, dice, «sono l’aristocrazia delle brigate di polizia, uno statuto che è necessario giustificare» tramite il tipo di gesta compiuto da Valentin L. e Jonathan F.

Per questi ultimi, la procura ha richiesto un anno di prigione (ai domiciliari con braccialetto elettronico) e cinque anni di divieto di porto d’arma. Poco prima della requisitoria, al termine della testimonianza di Merryl, l’avvocata di quest’ultima aveva chiesto ai due agenti se intendessero reagire – un modo per esprimere se non un pentimento, quantomeno un rimorso. Valentin L. si è detto «dispiaciuto». Jonathan F., colui che le ha sparato, fracassandole la schiena e «spezzando(le) la vita», come ha detto Merryl, si è lentamente alzato in piedi e, senza guardarla, in direzione del tribunale ha proferito: «Non ho niente da dichiarare».

* Fonte/autore: Filippo Ortona, il manifesto[1]

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