Elon Musk, Donald Trump e l’attacco al cuore della democrazia

by Juan Carlos De Martin * | 13 Novembre 2024 18:43

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Sommare potere economico e potere mediatico non può che distorcere, anche molto seriamente, il processo democratico

 

Per quasi un decennio i social media sono stati capri espiatori così comodi che, se non fossero esistiti, qualcuno li avrebbe probabilmente inventati. Che cosa c’è, infatti, di più comodo del dare la colpa a Facebook, a Twitter o a TikTok per un voto andato storto, come per esempio quello del referendum sulla Brexit o l’elezione di Trump nel 2016? (Quando il voto, invece, va come si desidera, tutto in ordine sotto il cielo). Per completare l’operazione politica bastava poi aggiungere l’interferenza straniera (tipicamente russa): chi aveva perso non aveva comunque nulla di sostanziale da rimproverarsi, era tutta colpa dei social media e dei mestatori stranieri. Tutto, insomma, pur di non dedicarsi al difficile lavoro di comprendere la realtà sociale, e al pesante, ma essenziale, esercizio dell’autocritica.

Non che i social media, i motori di ricerca, e ora anche i servizi di «intelligenza artificiale» come ChatGPT non possano influenzare gli elettori: certo che li influenzano, anche se in genere in maniera meno diretta di quanto pensino alcuni (che peraltro in genere tendono a sminuire il ruolo, ancora molto importante, dei media tradizionali). E diamo anche per acquisito, per quanto contrario al principio di non interferenza nelle vicende interne altrui, che alcuni Stati stranieri cerchino di influenzare le vicende politiche, incluse quelle elettorali, di altri Paesi: dal momento che l’hanno fatto, e non di rado, non pochi Paesi occidentali (anche tra di loro), sarebbe strano che il gioco non funzionasse anche in senso inverso. In questi casi andrebbe contrastato con gli strumenti previsti dalla legge, e non usato con troppa leggerezza per giustificare i propri insuccessi politici.

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Oggi con la seconda elezione di Trump la fase dei social media come capri espiatori si è forse conclusa. Complice l’entità del suo successo, si è tornati a un grande classico della democrazia: dare la colpa agli elettori. Questo si è letto su molti commenti, negli Stati uniti e anche in Italia: sono gli elettori colpevoli di essere retrogradi, ignoranti, zotici, se non semplicemente vecchi e rimbambiti. Qualcosa del genere si era già sentito ai tempi di Brexit e Trump 1, ma allora erano stati, appunto, i social media a ricevere la maggior parte delle critiche, forse perché erano fenomeni ancora relativamente recenti. L’effetto di questo ritorno al passato è comunque quello di evitare analisi e autocritiche, indispensabili. Con in più il rischio, opposto, di non prestare abbastanza attenzione – questa volta – ai social media, e in generale, al ruolo delle tecnologie digitali nei processi politici democratici. Dove la maggior parte dell’attenzione dovrebbe concentrarsi su due aspetti.

Il primo, ben noto, è il rapporto tra potere economico e media: non solo chi detiene rilevanti interessi economici non dovrebbe poter possedere media (tradizionali, nuovi o social che siano), ma neanche avere il potere di influenzarli, per esempio con l’acquisto di pubblicità oltre una determinata soglia o con altri contributi. Vale per Jeff Bezos col Washington Post, per Elon Musk con Twitter, ma anche in tanti altri casi, anche in Italia e in Europa. Sommare potere economico e potere mediatico, infatti, non può che distorcere, anche molto seriamente, il processo democratico. Il secondo aspetto riguarda specificamente le piattaforme social come Twitter, Facebook, Instagram e Tik Tok. In questo caso parliamo non di uno specifico giornale o di un determinato canale Tv, ma di qualcosa che assomiglia a una piazza, dove in teoria chiunque ha diritto di parola, ma col proprietario della piazza che si riserva il diritto non solo di toglierla a chi vuole, ma anche e soprattutto di decidere – da dietro le quinte, senza dare dell’occhio – a chi dare un megafono e a chi no, chi rendere sostanzialmente invisibile e chi mettere su un piedistallo, quali temi enfatizzare e quali smorzare (o, addirittura, proibire). Insomma, si tratta apparentemente di piazze, luoghi pubblici per eccellenza, dove in linea di principio siamo tutti siamo uguali, ma in realtà sono piazze dove ciò che capita è fortemente influenzato da chi le possiede. Elon Musk, mettendosi al centro della piazza che si è comprato a così caro prezzo si è procurato un podio da cui può raggiungere tutto il mondo.

Ma il problema non è solo Musk, questa persona che, come un Berlusconi al quadrato, è arrivato a sommare potere economico (Tesla, SpaceX, ecc.), potere mediatico (Twitter/X) e, grazie alla sua vicinanza al presidente Trump, potere politico. Il problema di fondo è che le piazze del XXI secolo sono private, ovvero, non sono più veramente piazze. E senza piazze è difficile concepire la democrazia.

* Fonte/autore: Juan Carlos De Martin, il manifesto[1]

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