Con Trump l’incubo di un “nuovo” Medio Oriente
Israele, potenza nucleare non dichiarata, tiene tutti sotto tiro. L’Arabia saudita è sotto pressione da tempo perché entri nel Patto di Abramo, certificato della supremazia israeliana su tutta la regione
La guerra Iran-Israele (e Stati uniti) non s’ha da fare, dicono gli arabi del Golfo. Ma la pace, nell’ottica di Trump e Netanyahu, ha un prezzo e lo pagheranno subito i palestinesi con riflessi imprevedibili su tutto il mondo arabo. La pensano così anche in Arabia saudita, sotto pressione da tempo perché faccia il suo ingresso in quel Patto di Abramo che si profila come il certificato della supremazia israeliana su tutta la regione.
Israele, potenza nucleare non dichiarata, tiene tutti sotto tiro. Lo ha detto chiaramente Amer Moussa, ex segretario della Lega araba ed ex ministro degli esteri egiziano, in un’intervista al quotidiano Al Masri al Youm: «Gli accordi di Abramo, nell’eccezione israeliana, impongono l’egemonia ebraica in un Medio Oriente coloniale dove Paesi arabi e islamici vengono costretti su un percorso dove non c’è sicurezza». Moussa ha confermato che Israele «progetta di annettere nuove terre arabe, dalla Siria all’Iraq, dal Libano alla Giordania, a parti di Egitto e Arabia saudita (dichiarazioni del ministro Smotrich, ndr)».
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TUTTI PRENDONO posizione, gli iraniani per primi. Il ministro degli esteri iraniano Abbas Araghchi ha avuto colloqui definiti «molto importanti» con il direttore dell’Agenzia internazionale per l’Energia atomica (Aiea) Rafael Grossi in visita a Teheran. Nel 2018 Trump stracciò il patto sul nucleare voluto da Obama nel 2015 e da allora le cose sono soltanto peggiorate fino allo scontro diretto tra Israele e l’Iran.
Nel mondo arabo alla diffidenza verso Israele si aggiunge quella verso la nuova amministrazione americana. Gli stati del Golfo respingono la strategia Trump di «massima pressione sull’Iran», titolava in prima pagina l’altro ieri il Financial Times e il principe saudita Mohammed bin Salman, che ha ricevuto ieri alti emissari militari iraniani per manovre congiunte nel Golfo, ha definito un «genocidio» quello che sta avvenendo a Gaza.
Il nuovo governo Usa non è soltanto filo-israeliano ma la dimostrazione che non ci sono quasi più freni all’influenza di Tel Aviv sulle decisioni di Washington. Sul tavolo c’è uno scambio: Netanyahu non replica militarmente all’Iran e si prepara a un cessate il fuoco in Libano o a Gaza. Ma Trump dovrà approvare l’annessione della Cisgiordania, così come aveva già promesso suo genero Kushner al premier (promessa non mantenuta che gli è costata il posto da inviato per il Medio Oriente, assegnato adesso a Steve Witkoff, immobiliarista di famiglia ebraica, compagno di golf di Trump).
Bezalel Smotrich, leader di un partito di estrema destra, ministro delle finanze di Israele incaricato dell’amministrazione civile della Cisgiordania occupata, ha già annunciato che nel 2025 partirà l’annessione della West Bank. Una chiara conseguenza dell’elezione di Trump. Già in occasione del primo mandato, Trump aveva trasferito l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme e riconosciuto l’annessione del Golan siriano, inglobato dallo Stato ebraico dopo la guerra del 1967.
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IN PASSATO gli israeliani avevano rinunciato una prima volta all’annessione per non compromettere gli Accordi di Abramo ma adesso che i sauditi frenano ritengono di non avere più limiti. Con Trump alla Casa bianca i sostenitori dell’annessione sentono di avere il vento in poppa. Chi potrà opporsi in una comunità internazionale spaccata e impotente? La soluzione “due popoli e due stati”, ancora presente tra gli strumenti retorici dell’amministrazione democratica, viene sepolta sotto le macerie e i morti della Palestina.
Le parole di Mike Huckabee, nuovo ambasciatore Usa in Israele, lasciano pochi dubbi: «È possibile che l’amministrazione Trump appoggi il piano del ministro delle finanze Smotrich di annettere gli insediamenti in Cisgiordania», ha appena detto alla radio militare israeliana. Questo pastore battista nel 2017 dichiarava che «la Cisgiordania non esiste, esistono solo la Giudea e la Samaria».
Del resto questa è un’amministrazione formata da filo-sionisti radicali e fuori controllo. Negli ultimi mesi Rubio, Waltz e Stefanik (rispettivamente segretario di stato, consigliere della sicurezza nazionale e ambasciatrice all’Onu) hanno attaccato l’amministrazione Biden per non aver sostenuto a sufficienza Israele nella guerra a Gaza e in Libano. Waltz, ex berretto verde dell’esercito americano, si è detto contrario a un cessate il fuoco in Medio Oriente, che «lascerebbe i terroristi di Hamas al potere a Gaza». Stefanik ha accusato l’Onu di antisemitismo per le ripetute condanne dei bombardamenti israeliani, spingendo per lo stop agli aiuti Usa a favore dell’Unrwa, l’agenzia per i rifugiati palestinesi.
LE NOMINE di Trump non sono neppure una buona notizia per l’Iran. A ottobre Rubio ha rilasciato una dichiarazione nella quale sosteneva il diritto d’Israele «di rispondere in maniera sproporzionata» alla minaccia di Teheran. Anche Waltz porterà al consiglio per la sicurezza nazionale posizioni apertamente anti-iraniane. Il mese scorso, a proposito della risposta israeliana all’attacco della repubblica islamica, aveva suggerito che lo Stato ebraico colpisse l’isola di Kharg, uno degli snodi più importanti per il commercio di petrolio, e le strutture nucleari a Natanz.
Trump e il suo “Dream Team”, che include di fatto Netanyahu, per arabi e musulmani sono già un governo da incubo.
* Fonte/autore: Alberto Negri, il manifesto
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