by Lorenzo Tecleme * | 1 Novembre 2024 10:10
Quasi tutte le vittime sono a Valencia. Si scava nel fango. Sotto accusa il presidente della giunta: ritardi nel dare l’allarme
MADRID. Ieri la Spagna guardava in due direzioni. Da un lato verso il cielo, cercando di capire dove e con che forza sarebbe arrivata la tempesta dopo aver devastato Valencia. Dall’altra verso terra, iniziando a calcolare i danni, cercando i dispersi – ormai, i loro corpi – e dando il via alla polemica politica.
La conta dei morti è arrivata a 158. Di questi, 155 solo nella comunità valenciana. Anche i danni alle infrastrutture sono in continuo aggiornamento e di certo ingenti. Uscire o arrivare a Valencia è un’impresa difficile. Più di 150 strade rimangono chiuse, e i treni ad alta velocità tra la città e gli altri grandi centri – Madrid e Barcellona – non riprenderanno a circolare prima di quindici giorni. Le immagini d’altronde parlano da sole: auto accatastate ai lati delle strade, case invase dal fango, acqua che ancora riempie garage e cantine. Molti temono che spalando si troveranno altri cadaveri.
QUANDO chiudiamo questo articolo sei comunità autonome rimangono in stato di allerta, ma nessuna a livello rosso, il massimo possibile. Il vortice isolato – quello che gli spagnoli chiamano gota fría, goccia fredda, o Dana dall’acronimo di Depresión Aislada en Niveles Altos – spostandosi ha perso di potenza. E dopo la tragedia valenciana nessuno ha più sottovalutato la sua pericolosità.
COME LA PAURA per il pericolo imminente diminuisce, si fa strada il dolore di chi ha perso qualcuno, e con esso le domande. Chi è responsabile della catastrofe? Le istituzioni per ora rimangono sulla linea dell’unità. Il premier Pedro Sanchez è volato ieri a Valencia, ha portato la solidarietà del governo ed è apparso in conferenza stampa assieme a Carlos Mazón, il presidente conservatore della giunta regionale. Lui, sul banco politico degli imputati per i ritardi nell’allerta, ha ringraziato il capo dell’esecutivo: «Grazie, caro Presidente, per la tua rapida venuta e la tua vicinanza». Toni rispettosi, ma la tregua alluvionale non ha coinvolto Alberto Núñez Feijóo, leader del Partito Popolare e compagno di partito di Mazón. «Non chiedo al governo di collaborare di più, ma di collaborare. Avete visto quello che è successo ieri al Congresso: c’era più preoccupazione per i media pubblici e il loro controllo che per le persone che qui stanno in situazioni al limite». Il riferimento è alla scelta della maggioranza nazionale di non interrompere il dibattito parlamentare, centrato come da calendario sulla governance della tv statale.
Nessuno in Spagna, a dire il vero, sembra essersi indignato per questo. Il centro della discussione è il sistema di allarme. Martedì, giorno della strage, fabbriche e negozi erano aperti: la gente è stata travolta dal fango mentre tornava da lavoro o da scuola. «Un presidente di regione gestisce in base alle informazioni che riceve. E queste informazioni dipendono da organismi con competenza esclusiva del governo centrale» ha detto ancora Feijóo, cercando di spostare l’attenzione dalle responsabilità della giunta locale, di centrodestra, a quelle del governo nazionale a guida socialista.
AEMET, L’AGENZIA meteorologica statale, sembra però avere la coscienza a posto: il primo bollettino era stato rilasciato il 20 ottobre, l’allerta rossa era stata proclamata fin dalle 7:35 di martedì. È la comunità autonoma ad aver aspettato le 20:15 per far arrivare sul cellulare dei propri cittadini un sms di allerta. Un orario in cui, come scriveva ieri El Paìs, «la situazione iniziava già ad essere disperata». Per questo è il governo di Valencia il primo accusato. Alcune realtà dei movimenti e della sinistra si sono date appuntamento per sabato 9 novembre. Slogan della manifestazione: Mazón dimettiti. Non aiutano le scelte passate della giunta: appena eletti, i consiglieri della destra abolirono l’Unidad Valenciana de Emergencia, una task-force creata appositamente per crisi di questo genere, e l’agenzia locale per il riscaldamento globale.
PROPRIO LA CRISI CLIMATICA originata dai combustibili fossili è l’altro punto focale della discussione. Sempre Aemet invitava due giorni fa ad aspettare studi di attribuzione specifici prima di dirsi certi del legame tra questo evento estremo e l’aumento delle temperature medie globali. Ma gli indizi ci sono, e molti. Juan José González Alemán è fisico e ricercatore presso l’agenzia meteorologica spagnola. È stato tra i primi a dirsi preoccupato per il vortice in arrivo, con giorni di anticipo, tramite un post su X poi diventato virale. Oggi spiega: «Se già prima era un evento straordinario, la sua persistenza fa acquisire a questa Dana tinte ancora più anomale. Bisogna approfondire, ma i sospetti che ci sia qualcosa dietro questo strano comportamento sono forti». E cosa possa essere quel qualcosa dietro lo spiega lui stesso: «mi riferisco al cambiamento climatico di origine antropica».
* Fonte/autore: Lorenzo Tecleme, il manifesto[1]
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