by Rita Rapisardi * | 29 Ottobre 2024 9:53
Il 5 dicembre 2023 la polizia entra nel Campus Einaudi e attacca gli studenti che protestavano contro un gruppo di estrema destra
TORINO. «Il codice identificativo è inutile perché l’identificazione di chi ha commesso violazioni è sempre avvenuta», così parlava Matteo Piantedosi in un’intervista a giugno 2023. Ma forse il ministro non sa ciò che avviene in molte delle richieste di archiviazione riguardanti le violenze in piazza contro i manifestanti. Facciamo un passo indietro.
È IL 5 DICEMBRE 2023, il gruppo studentesco di destra decide di fare volantinaggio al Campus Einaudi a Torino, sede delle facoltà giuridiche. Un’azione annunciata, motivo per cui le forze dell’ordine quel giorno si fanno trovare, a loro difesa, numerose fuori dall’università: tre gruppi da trenta poliziotti l’uno, trenta carabinieri, più vari agenti della Digos. Centotrenta persone a fronte di cento studenti che erano accorsi pacificamente. Strada bloccata, impedimento per studenti e docenti di recarsi nelle aule. Tutto fila liscio. Gli studenti di destra abbandonano l’università e la tensione sembra scendere, quando parte una carica forte da parte della polizia. Due docenti, Alessandra Algostino e Alice Cauduro vengono colpite dai manganelli, in testa e sulle spalle, finiscono in ospedale con sette giorni di prognosi. Con loro un’altra manifestante di 26 anni con un braccio rotto che per i medici è guaribile in trenta giorni. Decidono tutte di denunciare lesioni personali e violenza privata. Ora la Procura chiede l’archiviazione: non è possibile identificare gli autori delle violenze.
«MENTRE MI RECAVO al campus trovavo uno schieramento di polizia che sbarrava la via, mi sono resa conto che era per un presidio antifascista e mi sono fermata, cercando di fare, insieme alla collega Cauduro, intermediazione con la polizia», racconta Algostino ricordando gli avvenimenti del 27 ottobre 2023, quando gli agenti entrarono all’università durante una conferenza del Fuan e volarono manganellate all’interno dei locali. «Abbiamo parlato con chi dirigeva la piazza, perché le cose si svolgessero in maniera pacifica. Io e la mia collega ci siamo messe in mezzo tenendoci per mano, forse ingenuamente, per fare in modo che non ci fossero cariche. Gli studenti erano dietro di noi». Nelle carte invece si suppone che le due docenti guidassero gli studenti.
La carica, che nel gergo delle forze dell’ordine è definita azione di alleggerimento, non è stata ordinata da nessuno, come conferma la procura stessa. In quel momento la dirigente di piazza stava accompagnando gli studenti di destra lontano dal Campus. Ma allora di chi è stata l’iniziativa? Della prima fila degli agenti in antisommossa? Anche questo la procura non lo sa, come non sa chi ha preso le redini della gestione dopo che la dirigente si è allontanata.
EPPURE TRA LE PROVE ci sono quattro filmati, diverse ore di registrazione da cui però non si riesce a capire chi sono i dieci poliziotti in prima fila che hanno usato i manganelli. Nei video inoltre manca il frame che immortala la manifestante 26enne colpita al braccio (fratturato, secondo il referto ospedaliero di quella sera). La carica sarebbe giustificata però, dicono le carte, forse da calci sferrati dagli studenti. I calci non si vedono nei filmati, ma secondo le carte, dall’inclinazione dei busti degli studenti.
PER LE DUE DOCENTI la violenza, che quindi c’è, «secondo la richiesta di archiviazione è motivata in due modi: “L’uso legittimo delle armi” e “l’adempimento del dovere”. Per la manifestante si tratta al massimo di un eccesso colposo di uso legittimo delle armi. Motivo per cui chiedono l’archiviazione», spiega Roberto Brizio, avvocato della professoressa Algostino.
MA SE LE DUE professoresse non sono state indagate, la manifestante lo è, insieme ad altri 28 studenti antifascisti e un minorenne per resistenza a pubblico ufficiale: avrebbero tirato dei calci mentre subivano la carica della polizia. In sintesi, non è possibile risalire ai responsabili delle violenze di quella sera. E con il ddl sicurezza per queste azioni, docenti e manifestanti pacifici saranno sempre più criminalizzati.
* Fonte/autore: Rita Rapisardi, il manifesto[1]
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