La distruzione della sanità pubblica: in 4,5 milioni rinunciano a cure

by Andrea Capocci * | 9 Ottobre 2024 10:28

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Chi può permetterselo si arrangia da sé. È il dato che emerge con maggiore forza dal settimo rapporto sul servizio sanitario nazionale redatto dalla Fondazione Gimbe

 

Chi può permetterselo si arrangia da sé. È il dato che emerge con maggiore forza dal settimo rapporto sul servizio sanitario nazionale redatto dalla Fondazione Gimbe e presentato ieri in Senato. Le 200 pagine stilate dal think tank di Nino Cartabellotta certificano lo stato di crisi della nostra sanità a colpi di dati, grafici e tabelle. Ma nel rapporto di quest’anno si disegna il piano inclinato su cui sta scivolando un servizio che oramai non può dirsi universale. La scarsità di risorse per la sanità pubblica non è una novità e anche quest’anno il Gimbe lo denuncia. Ma è come se la coperta corta, a forza di tirare, si fosse strappata aprendo buchi che si allargano a vista d’occhio.

L’allarme arriva dalla spesa sanitaria privata, salita del 10% tra il 2022 e il 2023. Nel 2023 la spesa out-of-pocket pagata direttamente alla cassa per visite specialistiche, ricoveri e farmaci ha superato i 40 miliardi di euro, secondo i dati raccolti dalla Fondazione. È un incremento di oltre il 10% rispetto al 2022, pari a quello accumulato negli otto anni precedenti. Tra il 2012 e il 2022, prima del grande balzo, la stessa voce infatti era cresciuta dell’1,6% l’anno in media e già non c’era nulla da festeggiare. Ancora più velocemente sale la cosiddetta «spesa intermediata», cioè le assicurazioni sanitarie private e le mutue ormai previste anche dai contratti collettivi di lavoro: in assoluto vale poco più di 5 miliardi ma fa segnare un più 12% da un anno all’altro. L’Italia dunque rimane al di sotto della media Ocse e Ue nella spesa sanitaria pubblica (3.600 euro l’anno contro 4.200 pro capite) e viaggia decisamente sopra la media per quella privata (1.100 in Italia, 900 in media nei Paesi Ocse e Ue). L’impennata offre un quadro persino riduttivo delle disuguaglianze di salute: accanto a chi paga di tasca propria per aggirare le inefficienze del Ssn aumentano infatti le persone che non riescono più a curarsi per mancanza di risorse o per difficoltà di accesso ai servizi. Erano il 6% prima della pandemia e oggi secondo l’Istat rappresentano quasi l’8% della popolazione, cioè 4 milioni e mezzo di persone.

L’opposizione alza la voce convinta dai dati Gimbe. «Ci dicono che gli italiani che non hanno sufficienti risorse economiche rinunciano a curarsi» dice Nicola Fratoianni (Avs). «Tutti gli altri devono mettere soldi di tasca propria per fare visite ed esami». E rilancia: «Avanzeremo proposte di tutela del Servizio sanitario trovando coperture in una patrimoniale che tassi le grandi ricchezze: Meloni dovrà scegliere se tutelare ancora una volte le tasche dei super ricchi o la salute degli italiani». Anche la segretaria dem Schlein punta a redistribuire tassando le grandi ricchezze, riprendendo una proposta ambiziosa (e forse troppo astratta) del presidente brasiliano: «Fa bene Lula a chiedere ai governi una tassa internazionale sui super ricchi ma non alzando le tasse al ceto medio». Ok dunque a una patrimoniale ma, spiega Elly Schlein, «a livello europeo, internazionale, concertato».

* Fonte/autore: Andrea Capocci, il manifesto[1]

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