Israele e USA pensano a raid sui pozzi in Iran, a Gaza altri cento uccisi

Israele e USA pensano a raid sui pozzi in Iran, a Gaza altri cento uccisi

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L’idea di Washington per Israele: colpire le fonti di energia indebolirebbe Teheran. Unicef al lavoro per nuovi vaccini anti-polio nella Striscia

 

A 24 ore dal divieto di ingresso in Israele al segretario generale dell’Onu, comminato dal ministro degli esteri di Tel Aviv, il noto falco Israel Katz, dal Palazzo di Vetro giunge la prima reazione. Antonio Guterres la affida al suo portavoce, Stephane Dujarric, che definisce l’etichetta di persona non grata «una dichiarazione politica» e solo l’ultimo di una serie di attacchi perpetrati dal governo Netanyahu a personale delle Nazioni unite.

IL RIFERIMENTO copre un ampio raggio: quello più politicamente insidioso (l’accusa generalizzata all’Onu di essere «una palude antisemita») a quella pratica (le pressioni sulle Corti dell’Aja e sui paesi alleati per prosciugare i finanziamenti alle agenzie considerate nemiche, che sia l’Unrwa o l’Unesco). E poi la più brutale: i bombardamenti sulle sedi dell’Onu a Gaza e l’uccisione di oltre 200 suoi dipendenti.

Il calpestio reiterato di ogni spazio di diplomazia passa anche dal Palazzo di Vetro – lo stesso Guterres l’ha resa plastica venerdì scorso quando, durante il discorso di Netanyahu a una sala mezza vuota, si è assentato per un conveniente caffè. Chiudere del tutto alla via diplomatica, spiegava ieri l’ex direttore generale del ministero degli esteri israeliano, Alon Liel, è un «errore terribile» commesso dal governo di Tel Aviv: «Non saremo in grado di stabilizzare la situazione e vivere qui in sicurezza senza il sostegno del mondo».

Non era proprio diplomazia, ma provava a impersonarla, l’intervista rilasciata ieri dal presidente statunitense Biden fuori dalla Casa bianca: in merito alla reazione israeliana dopo l’attacco missilistico iraniano di martedì, Biden ha detto che ne sta discutendo con Netanyahu, «niente accadrà oggi, ne parleremo più avanti». Due giorni fa, fonti della Casa bianca davano per consistente la pressione statunitense su Tel Aviv per evitare raid sugli impianti iraniani di arricchimento dell’uranio.

Dalle parti di Washington si discute di altre ipotesi, attacchi alle basi militari oppure ai pozzi petroliferi. Non si tratterebbe di una reazione minore: metterebbe in difficoltà Teheran sul piano economico e sociale, aprendo a un inverno più arduo del solito per la popolazione civile. E farebbe impennare il prezzo del greggio, con conseguenze significative per il sud globale. Anche per questo ieri, via Qatar, la Repubblica islamica ha fatto avere alla Casa bianca un messaggio: l’Iran non vuole la guerra, dice, ma «la fase dell’autocontrollo unilaterale è finita».

PER UN CONFLITTO sull’orlo di una deflagrazione ingestibile, ce n’è un altro divenuto quasi invisibile, Gaza. Ieri l’Unicef ha annunciato di aver quasi completato i preparativi per la seconda campagna vaccinale anti-polio, dopo la prima a settembre che aveva coinvolto 560mila bambini. Vista la situazione di dispersione, carenza di strutture mediche e bombardamenti messi in pausa solo poche ore al giorno, era parso un miracolo vedere tanti bambini con la bocca aperta ingurgitare dalle fiale il vaccino salvavita, grazie allo staff sul campo e a genitori che sono riusciti a raggiungere i centri di vaccinazione.

I bombardamenti però non cessano. Ieri i giornalisti palestinesi riportavano di «un missile lanciato da un drone a Beit Lahiya su un gruppo di persone che raccoglieva legname…per la mancanza di gas per cucinare», scriveva Hani Mahmoud. Quattro gli uccisi.

Raid si sono registrati nel campo profughi di Nuseirat, con i carri armati che avanzavano tra strade e macerie. Il fuoco sparato lungo il corridoio Netzarim, che nei piani israeliani divide in due la Striscia di Gaza, sembra volto ad allargare un passo alla volta quella sorta di zona cuscinetto che in futuro potrebbe avere utilizzi molto vari, a partire dalla rottura della continuità territoriale tra il nord e il sud dell’enclave.

COLPITO ANCHE il campo di Maghazi (dove la protezione civile non riusciva a raggiungere le zone colpite e a soccorrere le famiglie intrappolate) e quello di Shati (dodici uccisi). Altre tre vittime a Khan Younis, per mano stavolta dell’artiglieria. Il bilancio degli uccisi sfiora ormai i 42mila, che salgono a oltre 50mila se si contano i dispersi. Cento morti solo nelle ultime 24 ore. Nel pomeriggio l’esercito israeliano ha annunciato la morte, tre mesi fa, di tre comandanti di Hamas.

* Fonte/autore: Chiara Cruciati , il manifesto



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