In Italia polizia razzista, tra sbalordimenti e democrazia

In Italia polizia razzista, tra sbalordimenti e democrazia

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I migranti, o i cittadini di origine migrante, sono sovra-esposti all’attenzione delle forze di polizia, per la loro marginalità sociale, per il loro aspetto, per la difficoltà a esprimersi in italiano

 

Il risentimento dell’esecutivo rispetto al rapporto del Consiglio d’Europa, che definisce razzista la polizia italiana, non sorprende. È stata la premier Meloni, qualche mese fa, ad affermare che criticare la polizia è sbagliato.

E poi si sta lavorando a una modifica della legge sul reato di tortura, faticosamente introdotta nel 2017, che in realtà suona come un’abolizione vera e propria, sempre sulla scia di quanto sostengono dalle parti di Palazzo Chigi.

Sorprende di più, e un tantino amareggia, lo sbalordimento del Capo dello Stato, che ha chiamato il Capo della Polizia per esprimergli la sua solidarietà. Se da un lato si comprende che il Presidente ha il compito di difendere le istituzioni di cui è il massimo rappresentante, dall’altro lato è vero che la difesa non dovrebbe essere acritica, ma dovrebbe considerare il rispetto della democrazia e delle libertà fondamentali. Tanto più che non si capisce perché l’Europa va bene quando si discute di guerra e di manovre economiche mentre sarebbe inattendibile quando mette in discussione il funzionamento, o le disfunzioni, degli apparati di stato.

Le istituzioni europee si avvalgono del lavoro di personale qualificato, che, nel caso specifico, supplisce all’assenza di una commissione interna, preposta ad indagare sugli abusi delle forze di polizia. Una misura che maggioranze di colori opposti, vuoi per calcolo elettorale, vuoi per non entrare in conflitto con un’istituzione nevralgica non prendono in considerazione di istituire. Qualora si volesse attribuire poca credibilità al rapporto del Consiglio d’Europa, basterebbe consultare i numeri e osservare da vicino i fatti nostrani per capire che siamo di fronte a un problema da considerare seriamente.

Un terzo dei detenuti è di origine straniera, e la carcerazione rappresenta il culmine del processo di produzione della devianza. Ci troviamo davanti a un meccanismo selettivo, che vede le forze dell’ordine, in quanto gatekeepers del sistema penale, in prima fila. I migranti, o i cittadini di origine migrante, sono sovra-esposti all’attenzione delle forze di polizia, per la loro marginalità sociale, per il loro aspetto, per la difficoltà a esprimersi in italiano.

Una volta immessi nel circuito penale, difficilmente possono contare su risorse come una difesa di nomina, interpreti, mediatori culturali, che li aiutino a chiarire positivamente la loro posizione giudiziaria. Finendo per ricevere una condanna penale, non di rado grazie alle sole testimonianze di esponenti delle forze dell’ordine che, in quanto pubblici ufficiali, non possono essere smentiti, a meno che non ci siano testimonianze in senso contrario. Se non bastasse questo, ci sono recenti fatti di cronaca che suffragano quanto affermato dagli osservatori europei, come il caso della caserma di Piacenza, del 2020, o quello della questura di Verona del 2022.

Gridare al complotto, sbalordirsi, non sono perciò le reazioni migliori da mettere in atto, e non è una questione di colore politico. Il caso inglese ne è un esempio. Quando nel 1981 gli Afrocaraibici di Brixton si sollevarono, innescando una catena di proteste nel resto del Regno Unito, Maggie Thatcher li definì usual rabble (canaglia abituale). Però si preoccupò di incaricare la Camera dei Lord di istituire una commissione di inchiesta sui fatti di Brixton, che produsse il rapporto Scarman, le cui conclusioni attribuivano i fatti di Brixton al razzismo delle forze di polizia. 16 anni dopo, la commissione d’inchiesta Macpherson, appurando l’insabbiamento da parte di poliziotti della Metropolitan Police londinese sull’omicidio del giovane afrocaraibico Stephen Lawrence, parlò di “razzismo istituzionale” dei poliziotti inglesi.

In entrambi le occasioni nessuno gridò al complotto, si scandalizzò o sminuì le inchieste. Anzi, si istituì la commissione indipendente sugli abusi di polizia e, dal 1997 in poi, si promosse l’apertura della polizia alla diversità. Non che i problemi siano stati risolti (tuttora gli Afrocaraibici vengono fermati 27 volte in più dei bianchi), ma si è tentato di stabilire dei contrappesi. È davvero triste dover prendere lezioni di democrazia da Maggie Thatcher. Ma questa è l’Italia di oggi.

* Fonte/autore: Vincenzo Scalia, il manifesto



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