Fosse comuni di Gaza, le verità sepolte

Fosse comuni di Gaza, le verità sepolte

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L’assedio israeliano dei principali ospedali palestinesi si conclude con il ritiro delle truppe di terra ed emerge l’orrore: nei dintorni delle cliniche, in sette diversi luoghi di sepoltura, vengono trovati 520 corpi. Molti giustiziati, altri bendati e ammanettati, tra loro donne e pazienti. 165 non hanno ancora un nome. L’inchiesta della giornalista palestinese Nour Swirki

 

STRISCIA DI GAZA. Mariem mi preparava il pane, mentre io lavoravo nella tenda per i giornalisti dell’ospedale Nasser nella città di Khan Younis, a Gaza. Allo stesso tempo, suo padre, Mohamad Zaidan, detto Abu Nabil (dal nome del suo primo figlio), raccoglieva la farina da noi ogni sera. La famiglia si era adattata a produrre il pane e a venderlo, dopo che i panifici avevano smesso di funzionare.

Con l’inizio dell’operazione militare israeliana via terra, a dicembre 2023, mi sono spostata a Rafah e il contatto con lei si è interrotto. Dopo un po’ di tempo, ho incontrato Mariem e sua madre per la strada affollata, nella parte occidentale di Rafah. Mariem aveva perso molto peso, tanto che non riuscivo a riconoscerla. I loro volti sembravano in lutto, Mariem mi ha detto: «Mio fratello è scomparso».

Alla fine di aprile 2024, ho visto di nuovo la madre di Nabil, ma questa volta in un video diffuso sui social media. Nel video, cercava suo figlio Nabil in una fossa comune dentro l’ospedale Nasser. «Nell’ultimo giorno di esumazione dei cadaveri – racconta il padre, Abu Nabil, 43 anni – mentre la ruspa della protezione civile stava per abbandonare l’ospedale verso le 14.12, la madre si è fermata proprio davanti alla ruspa, per bloccarla. Ha detto all’autista che non sarebbe andata da nessuna parte, fino a che non avesse trovato nostro figlio, che sicuramente si trovava nella parte dell’ospedale non ancora scavata. Continuava a dire: “Mio figlio è là, il mio cuore me lo dice”. L’autista, allora, ha ceduto al pianto della madre. Abbiamo trovato nostro figlio dove lei indicava, insieme ad altri cadaveri. Il suo corpo era decomposto e i suoi lineamenti irriconoscibili, ma lei lo ha identificato immediatamente dai suoi vestiti, li conosceva bene».

Secondo le Nazioni unite, sono state scoperte sette fosse comuni a Gaza, dopo l’inizio della guerra del 7 ottobre 2023, comprese quelle all’interno degli ospedali.

La fossa comune nel complesso dell’ospedale Nasser

Nabil Zaidan, 23 anni, manteneva la sua famiglia. Dopo la laurea in giurisprudenza, aveva iniziato a lavorare come sorvegliante in una scuola. Dopo il turno di lavoro, faceva manutenzione dei condizionatori d’aria. Quando l’esercito israeliano è entrato nella parte occidentale di Khan Younis il 6 febbraio 2024, Nabil è scomparso. Dormiva nel complesso dell’ospedale Nasser, per stare accanto a un suo amico malato, ma la famiglia aveva concordato che, se l’esercito fosse entrato nella parte occidentale della città, si sarebbe radunata a Rafah, nella zona Bir 22.

Quando è successo, sono arrivati tutti, tranne Nabil. Da quel giorno non si è più saputo nulla di lui, fin quando l’esercito israeliano si è ritirato dall’ospedale Nasser. I soldati avevano fatto irruzione il 14 febbraio 2024 nell’ospedale dove c’erano decine di pazienti, feriti e operatori sanitari, trattenendosi fino al 7 aprile successivo.

Dopo il ritiro, decine di famiglie si sono messe alla ricerca dei loro cari scomparsi, la famiglia di Nabil era tra queste. Suo padre ha dichiarato: «Uno degli operatori ha detto di aver seppellito i cadaveri dietro l’obitorio, ma l’esercito aveva raso al suolo quella parte, per questo non ha ritrovato il corpo. Siamo rimasti lì dalla mattina alla sera e abbiamo scavato con le mani e con gli strumenti che avevamo a disposizione. La protezione civile ha fornito una ruspa, sebbene insufficiente in termini di potenza e efficienza, per affrontare un’operazione di questa portata, che è andata avanti per un’intera settimana. Durante le operazioni di scavo, abbiamo rinvenuto diversi corpi di martiri, alcuni di loro con la benda sugli occhi e altri ammanettati; altri presentavano ferite gravi, alcuni mostravano segni di tortura, sui loro corpi c’erano anche disegni e parole in ebraico».

Il corpo di nostro figlio era decomposto e i lineamenti irriconoscibili, ma mia moglie lo ha identificato subito dai vestiti, li conosceva bene – Abu Nabil

Il racconto del padre di Nabil si colloca accanto ad altre testimonianze, fornite da fonti ufficiali palestinesi. Mohamed Al-Moughir, responsabile delle forniture e delle attrezzature per la protezione civile nella Striscia di Gaza, ha dichiarato: «Alcune persone erano state ammanettate, alcune erano state giustiziate al momento, alcune erano vestite e altre indossavano solo indumenti intimi. Ci sono indicazioni che alcuni corpi appartenessero a persone che stavano ricevendo cure. Alcuni addomi erano stati aperti e richiusi con la cucitura tipica della medicina militare, il che solleva sospetti di furto di organi umani. Alcuni cadaveri erano giunti al quarto stadio di decomposizione, processo che varia in base al metodo di sepoltura e all’uso di sostanze che accelerano il processo, come i sacchi di plastica, nonché alla profondità di tumulazione. Abbiamo trovato alcuni corpi a tre metri di profondità sotto terra».

La protezione civile ha partecipato al ritrovamento dei corpi in quattro fosse comuni: una presso l’ospedale Kamal Adwan nel nord della Striscia di Gaza e tre presso l’ospedale Saber Medical a Gaza City. Ha collaborato anche al ritrovamento di tre fosse comuni nel complesso dell’ospedale Nasser, a Khan Younis. In totale sono stati rinvenuti 520 corpi in sette fosse comuni, secondo il numero dato dall’ufficio stampa governativo.

L’operazione di recupero dei corpi è iniziata il 20 aprile 2024, circa due mesi dopo l’irruzione nell’ospedale. Al-Moughir spiega che, durante il periodo dell’assedio del complesso, si era «perso il contatto con i cadaveri». Dopo il ritiro, il numero totale dei corpi rinvenuti è arrivato a 392, di cui 72 donne e bambini. Tra questi, cinque sono stati trovati decapitati e 17 presentavano ferite non mortali; si sospetta che siano stati sepolti vivi.

Durante il periodo dell’assedio, circa 100 corpi erano già stati sepolti nell’ospedale, ma successivamente sono stati spostati e sfigurati. Finora, 85 di questi corpi sono stati identificati, mentre degli altri 15 non si hanno informazioni. Il totale dei cadaveri senza nome è di 165.

Nel complesso dell’ospedale Nasser, si trovava la fossa più grande, situata davanti al reparto di dialisi Hind El-Doghma, con una superficie di circa 2.500 metri quadrati, dove è stato rinvenuto il numero maggiore di corpi. Nel complesso medico di al-Shifa sono state scoperte tre fosse: due simultaneamente e la terza in un secondo momento, visto l’intento dell’esercito israeliano di nasconderle. Tale azione è giuridicamente considerata un tentativo di distruggere prove di crimini di guerra e genocidio.

Le fosse comuni nel complesso dell’ospedale al-Shifa

Il 18 marzo 2024, l’esercito israeliano ha invaso per la seconda volta l’ospedale al-Shifa a Gaza City. L’operazione militare al suo interno è durata circa due settimane, fino al primo aprile. Mohamad Basal, portavoce della protezione civile, ha descritto le circostanze del ritrovamento delle fosse: «L’esercito si è ritirato dall’ospedale a mezzanotte e le nostre squadre sono arrivate intorno alle due del mattino. Ci aspettavamo di trovare decine di corpi, come indicato da alcune testimonianze, ma abbiamo trovato l’ospedale pulito e completamente vuoto. Ci siamo chiesti quale fosse stato il destino delle decine di corpi segnalati da coloro che erano usciti dall’ospedale. Una delle infermiere, che era tra gli ostaggi durante l’operazione, ha dichiarato che verso le otto, poche ore prima del ritiro delle truppe, una ruspa militare aveva scavato una fossa ampia. Inizialmente pensavamo di trovarne solo una, ma poi si sono rivelate essere tre».

Le tre fosse si trovavano davanti all’edificio del pronto soccorso, di fronte al reparto di chirurgia specialistica, e dietro al palazzo dello sviluppo, a ovest dell’ospedale. Il lavoro di ricerca delle fosse comuni richiedeva un piano basato sulle testimonianze dei sopravvissuti del posto. «Era fondamentale comprendere la natura del luogo, attraverso le parole delle autorità che lo gestivano prima dell’irruzione dell’esercito israeliano – ha continuato Basal – Il cambiamento del territorio era il primo indizio da seguire, che ci avrebbe guidati verso le fosse comuni, una volta individuato il sito segnalato dai sopravvissuti».

Il ministero della Salute e la protezione civile avrebbero dichiarato l’inizio e il luogo delle operazioni di recupero, cosicché le famiglie alla ricerca dei loro scomparsi avrebbero potuto unirsi agli sforzi di ricerca. Questo processo ha portato al riconoscimento di alcune persone, tramite segni distintivi specifici, mentre per altre non è stata possibile l’identificazione.

La vera sfida nella scoperta delle fosse comuni e nel recupero dei corpi risiede nelle risorse disponibili per completare il compito nel minor tempo possibile, sotto la pressione esercitata dalle famiglie sulle squadre di lavoro.

Alcuni erano ammanettati, alcuni giustiziati, altri indossavano solo indumenti intimi. Alcune erano persone che stavano ricevendo cure – Mohamed Al-Moughir

Come ha sottolineato Basal, «parte del nostro lavoro non viene svolto in modo professionale, ma è ciò che riusciamo a fare. In questi casi, sarebbe fondamentale raccogliere campioni biologici dai corpi per preservarne l’integrità a fini giuridici e sanitari. Abbiamo bisogno di test del Dna per facilitare l’identificazione delle persone, ma tali risorse attualmente non sono disponibili nella Striscia di Gaza. Inoltre, è essenziale documentare la scena del recupero attraverso fotografie professionali, svolte sotto la supervisione di esperti nel campo della criminologia. Purtroppo, a volte ci troviamo a utilizzare immagini scattate da fotocamere di cellulari, che vengono archiviate per le successive identificazioni. Un altro aspetto cruciale è la necessità di un’ambulanza speciale per il trasporto dei corpi, per prevenire la diffusione di malattie infettive. Non abbiamo a disposizione neanche questo servizio, non abbiamo ricevuto supporto logistico da parte della comunità internazionale, né strumenti e carburante sufficienti per alimentare i macchinari necessari alla ricerca nei siti di sepoltura. Stiamo attivamente cercando risorse che possano fornirci il carburante necessario, per continuare le operazioni di recupero e identificazione delle persone seppellite».

In risposta alla scoperta delle fosse comuni e alla mancanza di risorse necessarie, nell’aprile 2024 Erika Guevara Rosas, direttrice delle ricerche, delle attività di advocacy, delle politiche e delle campagne di Amnesty International, ha dichiarato: «La scoperta scioccante di queste fosse comuni sottolinea l’urgente necessità di garantire l’accesso immediato, nella Striscia di Gaza occupata, a coloro che indagano sulle violazioni dei diritti umani, inclusi esperti forensi, per preservare le prove e condurre indagini indipendenti e trasparenti e individuare la responsabilità per eventuali violazioni del diritto internazionale. L’assenza di esperti forensi e la distruzione del settore medico a Gaza, a causa della guerra e del duro assedio israeliano, insieme alla mancanza di risorse necessarie per identificare i corpi, come i test del Dna, costituiscono enormi ostacoli all’identificazione dei resti. Questa situazione priva i morti di una sepoltura dignitosa e le famiglie con parenti scomparsi, o vittime di sparizioni forzate, del diritto alla conoscenza e alla giustizia, lasciandole in uno stato di incertezza e sofferenza».

La sepoltura non è stata l’unico metodo utilizzato dall’esercito israeliano per nascondere i corpi; è stato utilizzato anche il «compattamento». Secondo il portavoce della protezione civile: «Siamo rimasti sorpresi nel trovare dei corpi in alcuni terrapieni, creati dall’esercito all’interno dell’ospedale. Non è stato l’unico incidente, è accaduto anche a Shejaiya, alla fine di giugno 2024. C’erano testimonianze che indicavano la presenza di decine di morti e dispersi ma, quando l’esercito si è ritirato, non abbiamo trovato alcun corpo. Dopo ulteriori ricerche, abbiamo trovato un gran numero di cadaveri compattati nei terrapieni».

Violazione del diritto internazionale 

L’attivista per i diritti umani Issam Younis ha affermato che il diritto internazionale è chiaro nel considerare le fosse comuni come crimini di guerra e che possono essere configurate in diversi modi. Nelle situazioni di conflitto, l’obiettivo principale è quello di nascondere prove e occultare i crimini, seppellendo gruppi di persone, in violazione del diritto internazionale umanitario, senza tener conto della dignità umana intrinseca e del diritto dei defunti a essere sepolti secondo le loro credenze.

Nel contesto dei Territori palestinesi e dell’occupazione, queste fosse comuni sono parte integrante del genocidio. I corpi riesumati mostrano segni di colpi di arma da fuoco, mentre erano ammanettati, e di torture. Alcune delle fosse comuni contengono malati, medici, personale sanitario e cittadini. Tutti questi atti rappresentano crimini di guerra che richiedono la persecuzione dei responsabili: la Corte penale internazionale deve indagare su tali crimini, emettendo mandati d’arresto nei confronti di coloro che li hanno ordinati e di chi li esegue.

La percezione da parte dello stato occupante di essere al di sopra della legge è la causa che alimenta la continua commissione di tali crimini. In base alle Convenzioni di Ginevra del 1949, firmate da Israele, le parti in conflitto sono tenute ad adottare tutte le misure possibili per prevenire qualsiasi oltraggio delle spoglie dei morti. Inoltre, il diritto internazionale umanitario consuetudinario impone il rispetto per i defunti, incluso l’obbligo di impedire la profanazione delle tombe e di garantire il riconoscimento dei resti umani e la loro sepoltura dignitosa.

La legge vieta anche la mutilazione, la deturpazione e altre forme di mancanza di rispetto verso i defunti. Le parti devono attuare ogni misura per proteggere i siti di sepoltura, compresi quelli che ospitano i resti di un gran numero di morti.

Il 26 gennaio 2024 la Corte internazionale di giustizia ha emesso diverse misure provvisorie, inclusa un’ordinanza rivolta alle autorità israeliane perché adottino «misure efficaci per prevenire la distruzione delle prove e garantirne la preservazione». Ciò include il divieto di impedire o limitare l’accesso a commissioni di inchiesta, a missioni con mandato internazionale e ad altre entità a Gaza, per aiutare a preservare le prove, nel contesto della causa intentata dal Sudafrica contro Israele.

Alla fine di aprile 2024, l’agenzia Reuters ha riferito, citando due fonti, che i pubblici ministeri della Corte penale internazionale hanno intervistato personale dell’ospedale al-Shifa, il principale centro medico di Gaza, e altri che lavorano all’ospedale Nasser, il principale centro medico di Khan Yunis, nel sud della Striscia.

Per la prima volta, i pubblici ministeri hanno confermato di aver ascoltato dei soccorritori riguardo a possibili crimini a Gaza. Uno di loro ha dichiarato che gli eventi verificatisi negli ospedali potrebbero diventare parte dell’inchiesta condotta dalla Corte che esamina casi penali contro individui accusati di aver commesso crimini di guerra e contro l’umanità, oltre a genocidio e aggressione.

* L’inchiesta è stata realizzata con il sostegno della «Mohamed Aboul Gheit Fellowship for Jo

Fonte/autore: Nour Swirki, il manifesto

 

 

 

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