by Margherita Cordellini * | 10 Settembre 2024 9:50
Crimini atroci dalle due fazioni, dice il report della missione indipendente delle Nazioni unite. «Il conflitto ha costretto il sistema sanitario al collasso. La popolazione affronta una combinazione letale di sfollamento, carenza di acqua potabile, fame e malattie»
Il primo rapporto pubblicato dalla Missione internazionale e indipendente di accertamento dei fatti dell’Onu per il Sudan è un catalogo di orrori. L’organo investigativo, che ha il mandato di indagare le violazioni legate al conflitto in tutto il Paese, ha rilasciato il 6 settembre un resoconto degli atroci crimini commessi dalle due fazioni belligeranti negli ultimi 15 mesi.
Dall’inizio del conflitto, nell’aprile 2023, sia le forze armate sudanesi (Saf) guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan che il gruppo paramilitare delle Forze di supporto rapido (Rsf) comandate dall’ex generale Mohamed Hamdan Degalo si sono macchiate di una vasta gamma di gravissime violazioni dei diritti umani e del diritto umanitario internazionale. Queste, secondo la missione Onu, potrebbero costituire crimini di guerra e crimini contro l’umanità.
ENTRAMBE LE MILIZIE hanno bombardato indiscriminatamente scuole, strutture sanitarie, scorte di acqua, campi rifugiati e interi quartieri abitati da civili, denuncia il rapporto. Hanno violentato, abusato sessualmente, torturato, arbitrariamente incarcerato e giustiziato civili e soldati. «Mentre il conflitto ha costretto il sistema sanitario del Sudan sull’orlo del collasso, la popolazione sta affrontando una combinazione letale di sfollamento, carenza di acqua potabile, fame e malattie», viene dichiarato nel rapporto Onu. Ad agosto 2024, infatti, erano oltre 10,76 milioni le persone senza casa all’interno del loro paese. I morti sono decine di migliaia, qualsiasi stima è una sotto rappresentazione della realtà.
Una conseguenza diretta della guerra civile è quella che tre gruppi umanitari hanno definito la scorsa settimana come «una crisi alimentare di proporzioni storiche». Il Norwegian Refugee Council, il Danish Refugee Council e i Mercy Corps sostengono che «oltre 25 milioni di persone – più della metà della popolazione sudanese – sono costretti a un’acuta insicurezza alimentare. Molte famiglie sono state forzate a consumare solo un pasto al giorno per mesi e a mangiare foglie o insetti». Gli esperti della missione indipendente Onu per il Sudan hanno affermato, inoltre, che si potrà sperare di vedere i combattimenti cessare «solo quando il flusso di armi si fermerà». Al momento, solo nella regione del Darfur è in vigore un embargo sulle armi, imposto già nel 2004. Un nuovo rapporto di Human rights watch (Hrw) pubblicato ieri mette a nudo l’inefficacia di questo embargo parziale. L’indagine condotta dall’ong, basata sull’analisi di 49 foto e video presenti sui social media, rivela che «le fazioni in guerra in Sudan si stanno rifornendo di armi moderne ed equipaggiamenti militari di fabbricazione straniera».
«L’EQUIPAGGIAMENTO MILITARE apparentemente nuovo che Hrw ha identificato – comprensivo di droni armati, disturbatori di droni, missili guidati anticarro, lanciarazzi multi canna e munizioni da mortaio – è stato prodotto da aziende registrate in Cina, Iran, Russia, Serbia ed Emirati Arabi Uniti», si legge nel report. Nonostante Hrw non sia in grado di stabilire come le milizie siano entrate in possesso di queste attrezzature da combattimento, è riuscita a comprovare che alcune di loro sono state acquistate dopo l’inizio delle ostilità.
A luglio anche Amnesty International aveva rilevato che l’embargo non funziona e «armi ed equipaggiamenti militari di recente fabbricazione» entrano in grandi quantità in Sudan e Darfur.
* Fonte/autore: Margherita Cordellini, il manifesto[1]
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