Israele arruola richiedenti asilo africani in cambio del permesso di soggiorno
Su «Haaretz» il piano del ministro della difesa di Tel Aviv. Uno schema organizzato e supervisionato dai consulenti legali dell’esercito
Richiedenti asilo africani arruolati nell’esercito israeliano per combattere nella Striscia, in cambio di un permesso di soggiorno permanente. La rivelazione, con relative bacchettate per i grossi interrogativi etici che una simile pratica solleva, è arrivata dalle colonne del quotidiano israeliano Haaretz.
Le fonti consultate, sia interne al ministero della Difesa che appartenenti alla potenziale platea di questa particolare campagna di reclutamento, illustrano uno schema consolidato e organizzato, portato avanti sotto la supervisione di consulenti legali dell’esercito perché classificato «altamente problematico» da alcuni funzionari. “Platea” potenziale i circa 30mila richiedenti asilo giunti in Israele dall’Africa subsahariana. 3500 sono sudanesi con uno status temporaneo di rifugiati concesso dal tribunale in attesa che le autorità preposte esaminino la loro richiesta. Dopo il 7 ottobre – quando anche tre richiedenti asilo sono rimasti vittime della mattanza di Hamas – alcuni si sono resi disponibili per sostituire i palestinesi nei lavori di agricoltura ed edilizia. Qualcuno pare si sia detto disponibile ad arruolarsi e l’idea ha così preso corpo, con il placet dell’esercito.
Agli interessati sono state garantite due settimane di addestramento e uno stipendio simile a quello del lavoro che già svolgevano. La differenza sta nell’ad personam promesso, un dettaglio prezioso per qualsiasi migrante privo di status giuridico: il rilascio dei documenti israeliani, con conseguente diritto a restare legalmente in Israele.
Un’operazione win-win, in apparenza. Per Israele una soluzione più a buon mercato rispetto a quanto accadeva in passato. C’è stato un tempo infatti in cui i richiedenti asilo africani indesiderati venivano deportati “volontariamente” in Ruanda. Circa 4mila persone , tra il 2014 e il 2018, principalmente eritrei e sudanesi, alla scadenza del permesso di soggiorno temporaneo vennero costretti a scegliere tra rimpatrio, carcere in Israele o trasferimento in Ruanda con un volo di sola andata e una buonauscita di 3.500 dollari. Trattandosi in prevalenza di persone fuggite dalle persecuzioni dei rispettivi regimi, poco attratte dalla prospettiva di tornare nella bocca del leone, ma altrettanto poco disposte a finire in un carcere israeliano, scelsero tutti la terza opzione.
Peccato che il promesso futuro da “regolari” si rivelò un’illusione. In molti, dopo una breve permanenza in un centro di detenzione ruandese, furono trasferiti in Uganda. Altri sono stati messi in contatto con i trafficanti di esseri umani direttamente dai loro “ospiti”, in base a un sistema di collusione istituzionale. In un modo o nell’altro, mentre in Israele crescevano proteste come quelle dell’aprile 2018 «contro le deportazioni», si sono rimessi in viaggio. Destinazione Europa stavolta.
* Fonte/autore: Ester Nemo, il manifesto
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